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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2011 alle ore 17:25.

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Detto questo e proprio sulla base dell'impostazione ora descritta, è necessario riconoscere in modo parallelo la libertà di parola e di azione all'area di Dio (per usare la distinzione di Cristo, cioè della religione). Questo implica non solo l'esercizio del culto e l'elaborazione del pensiero teologico in senso stretto, bensì anche la funzione di essere coscienza critica nei confronti dei valori personali e sociali della giustizia, del bene comune, della vita, della verità, nella consapevolezza che l'uomo e la donna trascendono il pur legittimo ordinamento economico-politico, dotato di sue norme proprie. Il nodo delicato è precisamente in questa interazione indispensabile, capace di impedire che lo Stato diventi un Moloch e l'economia un Leviatan dominatore e che la Chiesa debordi dal suo orizzonte assumendo forme di integralismo.

Ai nostri giorni la "laicità", però, si sta accendendo sempre più di un costante sdegno, indispettito e insofferente nei confronti di ogni dichiarazione religiosa di indole civile o sociale, senza cercare prima di vagliarne il merito, se etico oppure fondamentalistico. In causa è chiamato soprattutto il cristianesimo che è di sua natura "incarnazione", e quindi non si isola nei cieli mitici e mistici, ma proclama la dignità della "carne", cioè dei grandi valori umani e la lettura del Vangelo ne è un'immediata conferma. La religione cristiana autentica e completa ha nel suo stesso Dna una vocazione "sociale". Chesterton osservava che «tutta l'iconografia cristiana rappresenta i santi con gli occhi aperti sul mondo, mentre l'iconografia buddhista rappresenta ogni essere con gli occhi chiusi nella contemplazione interiore».

Tuttavia, nelle pagine neotestamentarie, giustamente non si ha mai un progetto politico alternativo in senso stretto; san Paolo si colloca all'interno del sistema imperiale romano, come è indicato nel famoso paragrafo della Lettera ai Romani (13, 1-7) dedicato all'etica fiscale da rispettare, così come san Luca negli Atti degli Apostoli riconosce la sostanziale bontà del diritto romano nei confronti dei suoi cittadini (tra i quali è annoverato appunto anche Paolo). Questo, però, non esclude che l'autore del l'Apocalisse promuova una serrata critica nei confronti delle prevaricazioni del potere imperiale, colpendo in questo modo la politica repressiva di Domiziano, né si può ignorare che il cristianesimo abbia esercitato una funzione dirompente all'interno del modello sociale dei primi secoli per accelerare il trapasso a una società segnata dall'uguaglianza e dalla coesione fraterna, demolendo l'impianto tradizionale fondato sulla distinzione castale tra liberi e schiavi, indigeni e stranieri, maschi e femmine («Non c'è più né giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più né uomo né donna, perché voi siete tutti uno in Cristo Gesù», scrive l'Apostolo Paolo ai Galati).

Senza, perciò, nasconderci le difficoltà pratiche delle collisioni nell'interazione tra i due ambiti, senza voler essere a tutti i costi concordistici e irenici nell'esorcizzare ogni tentazione integristica, sia essa secolaristica o sacrale, riteniamo che sia sempre importante ribadire i principi che reggono gli statuti propri delle diverse sfere di pensiero e di azione. "Sacro" e "laico" non sono antitetici, pur essendo in radice differenti. Sbaglia il "sacralismo" clericale quando sogna di "consacrare" il profano ritenendolo in sé negativo, cancellandone l'identità, così come è in errore il "laicismo" secolaristico quando programma l'eliminazione di ogni segno religioso nell'areopago della società come presenza illegittima e indegna e disdegna ogni monito spirituale e morale, considerandolo come un'interferenza inaccettabile. Il sacro autentico non si oppone né vuole elidere il profano, ma lo chiama a dialogo, lo interpella e ne è interpellato, lo feconda rispettandone le competenze, lo provoca sui valori fondanti e permanenti dell'etica. Interrogarsi reciprocamente scoprendo il terreno di condivisione è il dialogo necessario che allontana il rigetto o la "con-fusione". L'esito finale positivo potrebbe essere quello che Gandhi delineava in questo suo settenario ideale: «L'uomo si distrugge con la politica senza principi etici, con la ricchezza senza lavoro, con l'intelligenza senza il carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la religione senza la fede, con la solidarietà senza il sacrificio di sé».

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