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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2011 alle ore 17:45.

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Non lasciarmi, di Mark RomanekNon lasciarmi, di Mark Romanek

Non lasciarmi di Mark Romanek è la versione cinematografica di un racconto affascinante di Kazuo Ishiguro. Ogni narrazione riesce ad avere una caratteristica esclusiva che la rende potente: la capacità di dare corpo ai fantasmi. Su questa certezza di solidità sono nate le storie di ipotesi fantascientifica: per farci confrontare concretamente con le possibilità partorite dai peggiori incubi.
Il film parte con la storia di tre adolescenti in un college austero e severo. Kathy (Carey Mulligan) è innamorata di un ragazzo che si chiama Tommy (Andrew Garfield), che ricambierebbe il suo amore se la spregiudicatezza di Ruth (Keira Knightley) non lo attirasse con la calamità della sensualità. Sono tre amici, è un classico triangolo di educazione sentimentale, in cui col tempo si arriverà a capire chi davvero ama chi. Ma dietro tutto questo c'è l'ipotesi fantascientifica che è il cuore del racconto di Ishiguro e che aspirerebbe a essere il cuore del film; la scuola di Hailsham è una specie di setta parallela alla vita normale: alleva degli essere umani speciali, li fa crescere sani e forti perché all'apice della giovinezza diventeranno dei donatori di organi che in due o tre interventi poi perderanno inevitabilmente la vita, salvandone alcune del mondo normale. Quindi la vita di questi ragazzi ha un orizzonte limitato, a termine, come se fosse un'accelerazione del sentimento di precarietà dell'esistenza.


Non lasciarmi è un film molto interessante per ragionare sulla trasposizione cinematografica di un'opera letteraria. Perché fa parte di quel tipo di narrazione fantascientifica che interviene sulla realtà così com'è. Non inventa o ipotizza nuovi mondi, ma immette nella vita quotidiana un elemento estraneo, invisibile; è proprio questo che ti mette angoscia. In fondo, il pianeta Pandora di Avatar ti rassicura perché è lontano e inimmaginabile; ti fa penare o gioire, ma sai che (almeno per ora) non ti riguarda. L'ipotesi di un'umanità scelta per vivere il tempo giusto per donare gli organi a chi ne ha bisogno, potrebbe essere già sotto i nostri occhi, ma noi non lo sappiamo.


Suggestivo, angosciante. Ma allo stesso tempo pienamente letterario e per nulla cinematografico; questo è il problema. Quello che vedi scorrere davanti agli occhi è un film qualunque, con tre ragazzi interessanti (interpretati da attori molto bravi); i tre personaggi e tutti gli altri stanno nelle scuole, nelle case, in camere da letto, in stradine di campagna, in un bar o in un qualsiasi altro posto. E la prima cosa che non funziona è proprio l'intercambiabilità dei luoghi della storia: ogni scena che vediamo si può svolgere dove si svolge o in qualsiasi altro posto, non cambierebbe nulla, e questo è senz'altro un segnale negativo per una sceneggiatura (dove invece una scena si deve svolgere in un luogo che non può e non deve essere un altro, e deve accadere soltanto ciò che può accadere). Succede perché non è ciò che vediamo che importa, ma ciò che c'è dietro. Quindi tutto ciò che vediamo può accadere ovunque e può essere qualsiasi cosa: potevano amarsi di meno, di più, amare altri; non è mai quello che succede tra loro il vero centro della storia. Mentre è soltanto questo ciò che vedi: tre personaggi che si amano, soffrono perché non amati; eccetera.

Il film, invece, è fondato e costruito su quello che ascolti. Sono le parole che spiegano interamente la storia fantascientifica. Proviamo a immaginare, per gioco, di eliminare il volume o facciamo parlare i protagonisti in una lingua incomprensibile; guardando solo le immagini, nessuno potrebbe comprendere in alcun modo cosa stia raccontando il film. Comprenderebbe solo ciò che vede, e cioè un triangolo amoroso di tre giovani (una specie di variazione da Jules et Jim). Per intenderci, se uno vedesse Avatar o Inception senza audio, capirebbe gran parte di ciò che accade, o quantomeno avrebbe la netta impressione che lì sullo schermo stia accadendo qualcosa di eccezionale, di estraneo alla vita che conosciamo. In buona sostanza: Avatar e Inception li vedi, Non lasciarmi non lo vedi.
Cosa vuol dire tutto questo? Che la storia è rimasta nel romanzo, non è riuscita a passare nel film; a farsi cinema. E probabilmente vuol dire, con maggiore precisione, che ci sono delle storie che si possono raccontare soltanto in letteratura; Non lasciarmi dimostra continuamente di essere una di queste. Può raccontarla un narratore, non si riesce a vederla sullo schermo. Ne risulta che il tentativo di portare al cinema l'ipotesi letteraria di Ishiguro è artificiosa e fallita in partenza.

Sia chiaro: tutto il senso del racconto c'è. Gli attori sono bravissimi e riescono a creare dei personaggi credibili e vivi. Ma fino a quando non cominciano a "perdere pezzi" nella parte finale, tutto quello che succede, è astratto. E ciò che è astratto riesce con gran fatica a essere letteratura, ma non può mai essere cinema. Ishiguro ha creato una ipotesi fantascientifica per spingere verso un romanzo di formazione più intenso; se vuole dire che crescere, in sostanza, significa perdere pezzi. Grazie alla forza del racconto, Non lasciarmi può sembrare un film migliore di quello che è. Ma non basta.
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Non lasciarmi , di Mark Romanek
Usa,Uk, drammatico, 103', 2010 Cast: Keira Knightley, Carey Mulligan, Andrew Garfield, Charlotte Rampling

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