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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2011 alle ore 16:22.

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Tra commedie e thriller all'americana, la vera perla del weekend è «Offside» del dissidente iraniano Jafar PanahiTra commedie e thriller all'americana, la vera perla del weekend è «Offside» del dissidente iraniano Jafar Panahi

Sei anni di carcere, con il divieto di realizzare film e di lasciare l'Iran per i prossimi venti: questa la condanna che il regime di Teheran ha inflitto a Jafar Panahi lo scorso 20 dicembre.

Il regista, vincitore del Leone d'Oro alla Mostra di Venezia del 2000 per il film «Il cerchio», era stato arrestato il 2 marzo 2010 con l'accusa di aver ripreso (senza permesso) alcune scene delle manifestazioni contro il governo di Ahmadinejād, del quale Panahi è da diversi anni uno degli oppositori più rilevanti.

Il mondo del cinema da quel momento si è costantemente mosso in difesa dell'autore (oggi in libertà dietro cauzione, in attesa del processo d'appello), attraverso messaggi mediatici (dalle campagne su facebook alle lacrime di Juliette Binoche durante lo scorso Festival di Cannes, alla notizia che Panahi aveva iniziato lo sciopero della fame) e iniziative di vario tipo: ultima quella del Festival di Berlino che, nonostante il regista non potesse presentarsi in Germania, l'ha nominato fra i giurati della manifestazione.

Anche l'Italia (o, meglio, la casa di distribuzione Bolero Film) ha deciso di contribuire alla causa (e alla diffusione della poetica di Panahi) facendo arrivare nelle nostre sale «Offside», l'ultima pellicola dell'autore iraniano, a cinque anni di distanza dalla sua trionfale presentazione al Festival di Berlino, dove il regista vinse l'Orso d'Argento.

Al centro del film vi è, naturalmente, una feroce critica contro l'arretratezza del sistema dello stato mediorientale. Siamo a Teheran, nel giorno della partita decisiva per la qualificazione dell'Iran ai mondiali di calcio di Germania 2006, e gli spettatori si avviano verso lo stadio: tra questi c'è anche una ragazza, vestita da uomo, che cerca di mimetizzarsi fra la folla per nascondere il suo sesso, dato che le donne iraniane non sono ammesse alle partite di calcio per ragioni di buoncostume. Riesce a raggiungere i cancelli, ma si fa prendere dal panico e viene scoperta: le guardie la porteranno allora in una sorta di recinto, situato all'ultimo anello dello stadio, dove troverà altre ragazze che hanno tentato la sua stessa sorte e sono in attesa di essere prelevate dalla polizia.

Oltre a essere una pellicola di grande impegno politico, che racconta una delle battaglie per i propri diritti che le donne iraniane devono combattere giorno per giorno, «Offside» è anche un film estremamente piacevole, privo di quell'eccessiva lentezza (spesso fine a se stessa) che aveva contraddistinto il precedente lavoro di Panahi, «Oro rosso» del 2003.

Il regista dimostra in «Offside» tutto il suo talento cinematografico, realizzando una storia girata (quasi) in tempo reale che unisce modalità documentaristiche alle teorie di Cesare Zavattini su come la macchina da presa debba pedinare i personaggi.

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