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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2011 alle ore 15:42.

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(Pascal Victor)(Pascal Victor)

E' una dolorosa riconciliazione con il teatro quella alla quale assistiamo sul palcoscenico del Piccolo di Milano. Il "Rêve d'automne" di Jon Fosse diretto da Patrice Chéreau è uno spettacolo che per dimensioni (autorale, visiva, semantica, evocativa, recitativa) si staglia tra le proposte della prosa nazionale, e riconcilia con un senso del teatro che pare ancora esserci, ancora incisivo come un coltello nella piaga viva.

Niente cronaca per il "nuovo Ibsen" Fosse, niente "discussione sulla contemporaneità", piuttosto contemporaneità della discussione, delle parole: parole - lucide, analitiche, desolate - sull'uomo, con una vertiginosa parabola che copre centocinquant'anni di drammaturgia.
I corpi belli e dolenti di Valeria Bruni-Tedeschi e Pascal Greggory danno lo spessore a questa storia di spettri: in un cimitero che Chéreau ribattezza in maestoso museo («una casa che ospita pensieri», spiega il regista citando Proust), si aggirano due vecchi amanti che nella vita si sono mancati di un soffio, e che ora sembrano avere una seconda chance.

Si ritrovano per caso, in questo cimitero (ma sarà vera casualità? Può esserlo in un luogo così simbolico?), si confessano, si amano.
Ma la morte, dato il luogo, incombe: nel cimitero-museo, dove si sta per inumare la nonna del protagonista (ancora Proust?), compare la famiglia - ex moglie, genitori, figlio adolescente -: un'apparenza spettrale che annulla la precaria dimensione naturalistica dello spazio e del tempo, e consente di ripercorrere, spietatamente, la quotidianità delle singole esistenze.

La storia come tante di una famiglia, una storia che inizia e finisce, una quotidianità cupa, che si misura dall'assenza di compassione e dalle cadute, dalle sconfitte al desiderio, dalla debolezza delle scelte, dalla pavidità.

Il problema è che ora non siamo più certi di chi è vivo e di chi è morto, e la mobilissima scrittura di Fosse (avanti e indietro nel tempo, con prolessi e analessi potenti e inquietanti) crea effetti spiazzanti e sfuma la categoria stessa di esistenza.

Sopravviveranno (forse) le donne: da Ibsen si passa a Strindberg (virato Bergman: la sconfitta de "Il padre"?), da Proust si arriva a Beckett e Pinter, fino a Chéreau stesso e ai lividi personaggi del suo cinema, il cui desiderio, trattenuto o concesso, rimanda all'ellissi sentimentale di «Intimacy». Interpreti di grande spessore, protagonisti eccellenti, e un pubblico fin troppo freddo di fronte a tanta grazia inconsueta.

Rêve d'automne
di Jon Fosse
regia Patrice Chéreau
con Valeria Bruni-Tedeschi, Pascal Gerggory, Bulle Ogier, Bernard Verley, Marie Bunel, Michelle Marquais, Alexandre Styker
Fino al 10 aprile al Piccolo Teatro Strehler di Milano
Info: www.piccoloteatro.org

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