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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2011 alle ore 17:35.

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«L'obiettivo principale di tutti i film è l'intrattenimento, io ho l'ambizione di fare un passo ulteriore, portare lo spettatore a esaminare la sua coscienza. Stimolarlo nel giudizio». Quando un grande regista muore, fa male. Ma quando un regista è ancora grande, allora fa molto più male.

Sidney Lumet negli ultimi anni era tornato ad essere lui. Dopo qualche infortunio- il più clamoroso Gloria, remake di Cassavetes senior con Sharon Stone- aveva infilato Prova a incastrarmi- un legal movie, potremmo quasi dire che se l'è (re)inventato lui questo genere, con Vin Diesel- e Onora il padre e la madre (in originale Before the Devil knows you're dead). Due gioielli, ed eravamo nel 2006 e nel 2007. Due anni fa, prima che il linfoma diventasse un avversario sempre più infame, aveva anche messo la sua mano sapiente nel documentario collettivo su John Cazale, attore straordinario che con lui fece Quel pomeriggio di un giorno da cani.

Se n'è appena andato, Lumet, nella sua New York - anche se il 25 giungno del 1924 fa nacque a Philadelphia - e già la nostalgia ci attanaglia. Perché sarà un po' più difficile giudicare il mondo che ci cresce (e crolla) attorno, senza il suo occhio severo, critico, impietoso. I fantasmi dell'individuo, le ombre della società non avevano misteri per lui, sapeva dove si annidava il male, lo mostrava senza giudicarlo. Sarà per questo che, dall'esordio a 33 anni con La parola ai giurati (la componente della Corte Suprema Sotomayor ha sempre detto che quella pellicola fu determinante nella sua decisione di dedicare la propria vita alla Legge), film con cui Henry Fonda inizierà da lì il quintetto di film con lui, fino a Il verdetto (1982) con Paul Newman, lui ha saputo meglio di altri rendere il tribunale un palcoscenico etico ed epico. Laddove molti ostacoli fisici rendono difficile la vita per un regista, lui si muoveva nelle aule di giustizia come in uno spazio infinito, disegnava traiettorie di regia, modellava performance, incastrava dialoghi come nessun altro.

Rese icone attori come Henry Fonda- anche la figlia, con Bridges, vide con lui il suo momento di gloria ne Il mattino dopo- e Al Pacino, che prima di Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975) con lui fece il cult Serpico (1973). Nel non riuscito Vivere in fuga (1988) diresse anche River Phoenix, e in Assassinio sull'Orient Express si regalò la Bacall, la Bergman, la Redgrave, Anthony Perkins e Sean Connery, che tornerà con lui ancora. Ha attraversato 50 anni di cinema riuscendo a interpretarlo quasi sempre se non a cavallo della caduta del muro di Berlino: l'ultima dozzina d'anni dello scorso millennio fu l'unico in cui fece registrare un passaggio a vuoto. In un'epoca senza certezze, uno che le demoliva per ricostruirle, un regista allo stesso tempo spietato e catartico, non poteva trovare posto.

E' sempre Sidney Lumet l'uomo che capì tutto già nel 1976. Quinto potere, che valse l'oscar postumo a Peter Finch (e uno anche a Faye Dunaway), quel "sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più" sono il dito puntato contro la società mediatica e televisiva più audace e lucido mai visto al cinema. E arrivò quando la televisione e i suoi tentacoli non erano ancora stati compresi in tutta la sua pericolosità. Andate a rivedervi il discorso di Finch: rimarrete annichiliti dall'attualità del film, del testo, dalla potenza delle immagini e del montaggio. Impossibile raccontare tutto il suo cinema, o quella vita che lo vide debuttare nell'Yiddish Theatre, da attore, già a 4 anni. Finì dietro la macchina da presa, per nostra fortuna, anche se ha sempre sognato di starci davanti. Trentotto film, ventinove a New York- la location, la città era un personaggio dei miei film (persino nella versione fantastica, alla mago di Oz, dell'improbabile The Wiz, con Michael Jackson e Diana Ross, datato 1978!)- e tanti spettacoli teatrali nella "sua" città. Soffrì, nel 2001, per le Torri Gemelle. Forse avrebbe potuto raccontarle, ma era troppo anche per lui. Ma immaginate, solo per un momento, un processo a un terrorista raccontato da Lumet.

Chiudiamo con le sue parole. "Il cinema? E' un modo meraviglioso di spendere la propria vita".

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