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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2011 alle ore 11:37.

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Le “Quattro Stagioni” dentro una casa, abitata dalla Spellbound Dance Company (Foto Cristiano Castaldi)Le “Quattro Stagioni” dentro una casa, abitata dalla Spellbound Dance Company (Foto Cristiano Castaldi)

Non c’è musica più celebre, più conosciuta, come quella delle “Quattro stagioni” di Vivaldi. Associata al mutare della natura, del tempo, degli umori. Prenderla come ispirazione di lavoro per una coreografia implica il pericolo dell’illustrazione, la tentazione di inseguirne le note, di assecondarne il flusso. Troppo invadente la suggestione che esercita. A momenti è quello che succede a Mauro Astolfi il quale, immagino pur non volendo, cede a quell’armonia musicale così ammaliante. E sembra descriverla col gesto puro del suo vocabolario coreografico.

Per fortuna, non tutto scorre in questa direzione. Come contrappunto v’immette, “sporcandola”, un’altra partitura sonora (come già fece con “Carmina Burana”) appositamente creata dal compositore Luca Salvadori. E su questa scrive col movimento danzato per evocare paesaggi emotivi e, allo stesso tempo, concreti. Sono cinguettii, scrosci di pioggia, di fenomeni naturali, ulteriormente amalgamati con rumori e suoni elettronici che creano atmosfere e stati d’animo.

Ma l’idea felice è anche un’altra. Attingendo comunque alla simbologia atmosferica dalla quale non si può prescindere, Astolfi focalizza l’interesse della coreografia attorno ad un unico elemento scenico: un grande cubo mobile che, come un asse di rotazione, rovesciato di volta in volta nei suoi lati, si rivelerà una casa stilizzata.

È il corpo, nella sua interiorità, concepito come dimora, e la pelle come le pareti del nostro mondo. Astolfi crea un rimando continuo tra gli stati d’animo interiori dei danzatori che si muovono dentro le pareti, e l’esterno, la superficie, di esse. Come pori da cui evaporano escono dalla casa, vi ritornano, vi strisciano attorno, vi si arrampicano, confluiscono insieme trascinando gli uni gli altri. Essa è rifugio, albero, cielo, terra, e a visualizzarlo sono immagini e filmati proiettati - uno stelo che diventa pianta, la pioggia battente, le nuvole passeggere - che suggeriscono lo scorrere delle diverse stagioni.

Il ciclo della natura che si rinnova è osservato da quello spazio comune che unisce, che soffoca, che vibra. Mani, piedi, gambe, teste, sbucano dalla finestra, dalla porta, dal tetto aperto. E la danza si apre a duetti solari, poi notturni, ariosi e intimi; a intrecci di terzetti alternati, a geometrie e assembramenti di gruppo, a un sensuale duetto, inondato da una luce calda di raggi, che è preludio dell’estate. Nei movimenti dei giovani componenti della Spellbound Dance Company, bravissimi tecnicamente ma ancora in crescita espressiva,ci sono riferiti la vita, il sonno, il trapasso, la rinascita, la protezione, il calore, il freddo, l’amore. E nella danza dal forte segno contemporaneo plasmato su posture classiche, c’è anche posto per una sequenza di tango - inopportuna - sbirciata dal quadrato della finestra.

“Le quattro stagioni”, coreografia e set concept mauro Astolfi, regia multimediale Enzo Aronica, disegno luci Marco Policastro, musiche originali Luca Salvadori. A Roma, Teatro Italia. A Cittadella, Teatro Sociale, il 12 aprile; Verona, Teatro Camploy, il 14; Mestre, Teatro Toniolo, il 16; Torino, Teatro Colosseo, il 20 aprile.

www.spellbounddance.com

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