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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2011 alle ore 08:19.

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Quando il supplemento libri di cui era responsabile chiuse, nel 2008, Ron Charles non si perse d'animo. Il giornale per il quale lavorava non era certo piccolo: il «Washington Post». Charles ora è sul web, dove le sue recensioni, sul sito del giornale e su YouTube, spopolano. Sono video-recensioni. E Charles ha inventato un genere nuovo: due-tre minuti nei quali recensisce il libro, sì, ma non si limita a parlarne. No: "recita" la recensione. Charles è un esperto di letteratura, eppure si veste da buffone, fa dei veri e propri sketch: una volta è apparso con del bacon fresco in testa. Ora è noto, esce per strada e viene riconosciuto. Ha passato la soglia: dalla critica al mondo dello spettacolo. Era necessario arrivare a questo pur di interessare qualcuno ai romanzi?
Restiamo da noi. Qualche settimana fa, durante la presentazione pubblica, a Roma, di Jonathan Franzen, il buon Alessandro Piperno si è beccato i fischi e i rumoreggiamenti del pubblico: "annoiava" gli spettatori... parlando di letteratura. E, non essendo certo lui la star della serata, non poteva permetterselo.
Cosa è accaduto, insomma? Due fenomeni convergono verso un dato che fa da sfondo al momento culturale nel quale viviamo. Contrariamente a quanto sostengono molti geni (ovviamente incompresi) del manoscritto nel cassetto, pubblicare non è mai stato così facile. Tutti ci riescono, con editori più o meno prestigiosi. Il web, poi, ha annullato ulteriormente la distanza tra chi scrive e l'atto della pubblicazione (almeno quella virtuale).
D'altra parte, invece, criticare non è mai stato così "inutile". Intendiamoci: è un atto percepito come inutile. E, cosa assai più grave, è percepito come tale dallo stesso pubblico dei lettori. Bisogna essere chiari: i critici non hanno mai avuto la capacità di influenzare il mercato. Anzi, storicamente si sono fatti vanto di segnalare opere che proprio dal mercato erano escluse o trascurate. Il grande pubblico se ne è sempre infischiato della critica: compra per i fatti suoi, per passaparola, per fama dell'autore, per, da ultimo, notorietà televisiva. È che i lettori si sono trasformati lentamente in pubblico di tipo televisivo (ai festival si va per "vedere" lo scrittore: niente di male, ma registriamo il fatto) e i critici più scaltri hanno seguito l'onda. Trasformandosi – loro, non i libri dei quali parlano – in protagonisti. Anche qui, il web ha dato a molti l'illusione che siamo tutti critici: basta la sola possibilità di scrivere su un blog di un romanzo per sentirsi tali. Senza curarsi di competenza puntuale, metodo, e, meno che mai, studi specifici. In più con l'alibi dell'anonimato. I critici cartacei, defraudati di autorevolezza, ripiegano, nei casi peggiori, sui dettami della falsa democrazia internettiana. A scarsa capacità di attenzione del pubblico corrispondono giudizi branditi come clave, ragionamenti da tifosi degli scrittori e non da seri analisti, atteggiamenti da profeti della "vera" letteratura. In qualche caso il gioco è riuscito e, per la prima volta, qualche recensore ha davvero influenzato la classifica dei bestseller. È una tendenza che risale, almeno in Italia, ai secondi anni Ottanta quando i giornali hanno sostituito alla recensione le notizie sui "casi editoriali". Niente di male: ma, di nuovo, sono dati.
Un acuto critico come Alfonso Berardinelli nel suo ultimo libro (Non incoraggiate il romanzo, Marsilio) se ne è uscito con questa frase, che coglie un aspetto essenziale del nostro tempo: «smettiamola di processare i critici e di stilare piccoli canoni. Legga chi vuole quello che vuole.Un'altra epoca si chiude quella dei giudizi».
Ma occorre ribadire che gli spazi per non confondere il marketing con la critica sono sempre più indispensabili (e ce n'è anche sul web: Nazione Indiana, che sta "verificando i poteri" della critica; www.doppiozero.com, che fa della profondità la sua bandiera). E sono pochi i media ormai si permettono il «lusso della critica». Il tempo per ragionare sui libri (ma vale anche per il resto dell'arte), la qualità e trasparenza di chi compie i ragionamenti, ma anche (fondamentale) l'attenzione desta dei lettori. Siamo nel campo dell'opinabile, è vero: ma, come dice Paolo Conte, è un mondo adulto e, se si sbaglia, lo facciamo da professionisti. Almeno questo.
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