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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2011 alle ore 08:21.

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Claudie Haigneré, medico, già ministro della ricerca francese e consigliere dell'Agenzia Spaziale Europea, è stata la prima astronauta francese ed europea, è moglie di un altro astronauta e oggi è presidente della più grande struttura museale d'Europa per la diffusione della cultura scientifica: Universcience. L'occasione del nostro incontro è l'esposizione «Yuri Gagàrin, una rivoluzione» della Ria Novosti al Palais de la Dècouverte a Parigi, fino al 28 agosto. Dal viaggio iniziatico degli sciamani attraverso la sfera celeste a quello raccontato dai miti indigeni, passando per la letteraura greca e latina – Cicerone incluso con il Somnium Scipionis – l'uomo ha sempre sognato di fare un salto tra le stelle e viaggiare libero nel Cosmo. La scienza spaziale sovietica rese questo sogno possibile con Gagàrin. La missione Apollo, l'allunaggio, la ristretta comunità degli astronauti e degli scienziati spaziali, che lavorano sulle missioni robotiche d'esplorazione del sistema solare e del l'Universo, hanno rinforzato il mito e la realtà di questa sfida estrema.

Che cosa si prova a vedere affiorare la Terra dall'oblò del lanciatore Soyuz, della stazione russa Mir e della Stazione Spaziale Internazionale? «È una sensazione rara per un essere umano – risponde Claudie Haigneré – e ancora più preziosa per una donna: ci sono poche donne tra gli astronauti, appena il 10% della comunità internazionale, che è costituita da solo 700 persone. La diversità femminile è ancora poco rappresentata, rare sono le donne candidate a diventare astronaute, e ancora oggi poche si avventurano nelle carriere scientifiche». Quali sono le sfide che si ha l'impressione d'aver vinto quando si è la sola donna a bordo di una Stazione Spaziale (assumendo anche il ruolo di comandante)? «Di aver giocato la carta dell'audacia e di essere stata scelta. Allora la dimensione femminile diventa un vantaggio piuttosto che un limite. I miei due voli a bordo della Mir e della Stazione Spaziale Internazionale – 10 anni fa – sono stati indimenticabili perché ricchi di dialogo, di diversità e di una qualità di vita superiore a quella composta dagli equipaggi esclusivamente maschili: è un'innovazione rilevante. Mi auguro che l'equipaggio che andrà su Marte abbia una diversità più rappresentata, una presenza femminile più ampia di quanto sia avvenuto finora. Certo però che tra i futuri astronauti selezionati dall'Esa c'è solo una ragazza, proprio come quando presentai la mia candidatura (è italiana, Samantha Cristoforetti, ndr). Ma le donne, anche se in minoranza, hanno assicurato tutti i ruoli di responsabilità: penso alla Valentina Tereshkova, la prima leggendaria astronauta in orbita intorno alla Terra nel 1963, scelta per pilotare il Vostock 6».

Come si percepisce il mondo quando si è in orbita intorno alla Terra? «Forse perché sono medico, ma mi ha sempre affascinato conoscere gli effetti della microgravità sul nostro corpo e sulla nostra mente. La nostra conoscenza, il nostro cervello si limitano abitualmente a 2 dimensioni, ma nello Spazio il corpo è libero di esplorare in 3 dimensioni. Ciò ha un effetto sorprendente anche a livello cognitivo: l'alto e il basso non sono più così importanti, perché esiste una nuova dimensione: il volume. Dei nuovi codici di riferimento vengono appresi dal cervello. A bordo delle Stazioni Spaziali ho imparato molto sia come medico che come essere umano. Lo sguardo va costantemente verso il nostro pianeta, che si trova a soli 400 km. Si vede l'atmosfera come una pellicola sottile, s'intende la fragilità della Terra e della vita presente. Si sente la responsabilità di ognuno di noi, come singola persona e come collettività. Molta della coscienza ecologica attuale deriva, da questo sguardo a distanza che offre l'esplorazione spaziale».

Come e quanto è cambiata la visione di noi umani da quando siamo usciti fuori dal nostro habitat naturale? «Sembrerebbe più facile da questa posizione esterna comprendere l'unicità e la fragilità del nostro pianeta, le catastrofi naturali, come i terremoti, e anche l'effetto devastante e nefasto di noi umani: la deforestazione, la desertificazione, eccetera. Ma possiamo anche essere utili alla Terra quando siamo capaci, grazie alla scienza e tecnologia spaziale di prevedere e anticipare le catastrofi; pur restando comunque sottomessi ai grandi disastri naturali e antropogenici».

Come il tuo sogno di volere essere astronauta è diventato realtà? E come si sogna in orbita? «La realtà d'astronauta è stata più bella del mio sogno. E nello spazio sognavo in 3 dimensioni! Sognavo di galleggiare in uno spazio enorme, non quello ristretto della Stazione Spaziale. Poi dopo il ritorno a Terra anche i miei sogni avevano una pesantezza esagerata». Che cosa significa essere un'esploratrice, conoscere lo spazio 3D fisicamente? «Lasciare briglia sciolta all'immaginazione, mantenere una volontà precisa di vivere, di partecipare insieme agli altri alle sfide attuali della conoscenza attraverso la capacità di sorprendere ed essere sorpresi. C'è chi riesce a esplorare fisicamente e chi ci riesce mentalmente: tutto è valido». Qual è la lezione appresa in orbita intorno alla Terra? «L'insegnamento di Aristotele che diceva che la filosofia ha inizio con lo stupore, la meraviglia, ma si può dire che tutta la scienza, come il sentiero di un'esploratrice è andare di stupore in stupore».

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