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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 15:03.

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L'Huge Wine Glass è un'opera dell'architetto giapponese Toyo Ito, ma non è stato Toyo Ito a fare Huge Wine Glass. Non è un koan Zen, ma l'estremizzazione del concetto di opera d'arte svincolata dalla sua realizzazione fisica. L'originale, l'unicum, è nel file del Cad utilizzato per ideare il Grande Calice.

Ciò che gli appassionati d'arte che capitano a Pescara (dov'è installata la statua) vedono è soltanto il suo fantasma, realizzato da una ditta specializzata in costruzioni di metacrilato. Un visitatore che volesse scattare qualche fotografia (senza flash) alle opere custodite nel Palazzo ducale di Urbino vedrebbe immediatamente materializzarsi un sorvegliante che glielo impedirebbe.

Mentre se volesse guardare da vicino Monna Lisa dovrebbe rinunciarci perché l'opera è praticamente inavvicinabile. Un adolescente che resuscita l'antidiluviana (ma stupenda) Amiga del padre, la piattaforma informatica degli anni Ottanta, scopre la bellezza delle immagini create algoritmicamente da IMandel, il generatore di frattali di Mandelbrot.

Cosa hanno in comune questi esempi, e cosa c'entrano con il diritto d'autore?
Ciò che li unisce è, da un lato, la progressiva irrilevanza del ruolo dell'artista nella fruizione dell'opera e, dall'altro, la centralità della tecnologia come interfaccia per accedere all'esperienza estetica.
Ciò che li pone in relazione con il mondo del copyright è il ruolo di "limite" che rivestono in rapporto a un sistema di tutele che è stato pensato - letteralmente - in un'altra era.

Il diritto d'autore (nelle sue svariate incarnazioni, da strumento di censura e lotta politica a mezzo per proletarizzare la creazione artistica) nasce e si struttura in un ambito in cui l'opera d'arte è caratterizzata dall'"unicità" e dunque dalla differenza fra "originale" e "copia". Come scriveva Walter Benjamin già nel 1936, l'esperienza estetica del fruitore dell'opera è, dunque, suscitata da quella sorta di "aura" che promana dal "farsi materia" del genio artistico. La Pietà è una e una sola. E non è la stessa cosa vedere l'originale o una replica, per quanto ben fatta.

Huge Wine Glass, così come un frattale generato da IMandel, è diverso. Se ne apprezza la pura dimensione estetica, a prescindere dagli aspetti costruttivi che hanno una rilevanza solo accessoria. Se invece di un cilindro in metacrilato la statua fosse stata un ologramma, nessuno avrebbe avuto qualcosa da eccepire. In questo caso, non c'è arte nel "fare", ma c'è esperienza estetica nel percepire.

E qui viene in gioco il secondo elemento della riflessione: sempre di più le opere si "vivono" in modo indiretto. C'è, sempre più spesso, qualcosa fra l'occhio e l'oggetto della visione: un mirino, un monitor, un obiettivo... È l'intuizione di Neal Stephenson, che nel 1999 scriveva un brillante libretto (mai tradotto in italiano), In the Beginning Was the Command Line. C'è, nello spettatore, la tensione inconsapevole verso la possibilità di creare la "propria" versione dell'immagine che sta vedendo, grazie agli strumenti che l'elettronica gli mette a disposizione.

Ma questa forma di rapporto con l'immagine cozza frontalmente con il modello normativo ed economico - entrambi appartenenti alla preistoria - che siamo costretti a subire. Un modello che si traduce nel divieto di utilizzare gli strumenti tecnologici per creare la propria arte personale e che draconianamente cerca di punire le innumerevoli "violazioni" che nonostante la dura lex vengono quotidianamente perpetrate. Così viene imposta una sorta di "tassa" sui supporti di memorizzazione e sugli strumenti di registrazione che schizofrenicamente non vale per certe categorie di apparati.

Perché un masterizzatore è soggetto al "balzello" e una macchina fotografica no? Non consentono entrambi di riprodurre abusivamente delle opere protette? Oppure, come il fanciullo che cercava di svuotare il mare con un secchio, si cerca disperatamente di arginare l'onda di immagini, suoni e video che circola per la rete proponendo soluzioni - come quella francese della Hadopi, la radicale legge per la protezione del copyright - incivili e vessatorie: sottrarre alla magistratura il potere di decidere cosa sia lecito o no, per adottare processi sommari che si concludono con il ghigliottinamento della linea internet.

Piuttosto che adattare il diritto d'autore alla realtà, il tentativo arrogante dei padroni delle idee è quello di piegare la seconda ai diktat del primo. E dunque se il diritto d'autore è in fin di vita, l'assassino andrà cercato fra quelli che lo hanno creato, non fra coloro che lo hanno subito.

Post scriptum: visto che la realtà è sempre più immaginifica della fantasia, succede che un bel giorno Huge Wine Glass si spacca. Il metacrilato con il quale era stata costruita non ha retto e ora la statua è letteralmente ingabbiata in una orrenda struttura di metallo che la tiene in piedi. La gabbia la storpia, ma le dona, finalmente, quell'unicità che non aveva mai avuto.

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