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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 14:40.
«A Cuba c'è chi ripara accendini. In Italia chi butta via oggetti nuovi per noia. In quanto designer dovremmo progettare la nascita degli oggetti insieme alla loro morte. E porci un limite che è una provocazione: un numero massimo di oggetti da immettere sul mercato. Fare meno, farlo meglio. La nostra stessa durata non è illimitata»
Se per una magia sconosciuta il mondo occidentale improvvisamente si fermasse e distribuisse a ognuno di noi le sedie nei magazzini, avremmo diritto a circa 50 sedie per persona, pensionati e neonati compresi. Questa quantità paradossale ci fa capire la difficoltà di innovare il linguaggio del design e delle sedute in particolare. Attraverso la genetica non è ora di ridisegnare i culi?
Denis Santachiara, designer, Milano
Possiamo noi designer portare le nostre preoccupazioni all'attenzione delle industrie più grandi e influenti affinché si realizzino prodotti e sistemi dal contenuto culturale, senza comprometterne l'utilità di base, affinché le persone possano stabilire con gli oggetti un legame che impedisca loro di gettarli via? Potrebbe questo essere un modo per aggiustare alcuni dei problemi che abbiamo creato nel nostro piccolo pianeta Terra?
Satyendra Pakhalé, designer, Amsterdam
Nel progettare si guarda quasi sempre al passato per correggerne errori o migliorarne aspetti. "Progettare" è un verbo che di solito si coniuga al futuro, perché lancia lo sguardo e l'immaginazione in avanti nel tempo. Ma perché le cose buone fatte in passato vengono spesso cancellatenel nome dell'innovazione? Non sono compatibili le due direzioni temporali in maniera strutturata al di là del citazionismo o delle mode vintage?
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, Bra (Cuneo)
Non sarebbe possibile progettare e costruire l'inevitabile e superfluo "nuovo" utilizzando e producendo, paradossalmente, meno?
Massimiliano Adami, designer, Milano
Che cosa se ne fanno gli umani di tutte queste cose nel loro breve tempo sotto il sole?
Virginio Briatore, critico del design, Milano e Ravenna
Se le domande sono così metafisiche, perché il design è così commerciale?
Martí Guixé, designer, Barcellona e Berlino
Ho la sensazione che nel futuro prossimo passeremo, anche noi progettisti, dal "senso del fare" al "senso del disfare", dello smontare, disassemblare... Per poi, forse, rimontare, meno e meglio?
Marco Ferreri, designer, Milano
Come si distingue una caffettiera di "design" da una caffettiera normale?
Mario Bellini, architetto e designer, Milano
Diventeremo un paese di archivi di idee o ritorneremo a essere anche un motore produttivo reale?
Nanni Strada, designer, Milano
Come si può giustificare la produzione di altri oggetti di design in un mondo dove c'è già un eccesso di consumi e dove i bisogni di base non sono coperti a sufficienza?
Tom Dixon, designer, Londra
Se il design non esistesse, sarebbe necessario inventarlo?
Mathieu Lehanneur, designer, Parigi
Dovremmo forse allentare un poco la presa, cedere controllo e lasciare che le forze della natura vengano considerate un collaboratore chiave? Non sto parlando solo di sostenibilità: in un periodo in cui l'artificiale e il manufatto eclissano il naturalistico, abbiamo forse bisogno di un nuovo rispetto per la natura, che la consideri un valore tangibile piuttosto che una minaccia?
Nigel Coates, architetto e designer, Londra
Ma è poi vero che l'Italia è così bella che non si deve toccare nulla ma solo conservare il "paesaggio"? È possibile per un paese avere un futuro investendo solo nel passato? Cosa devo fare stamattina per contribuire alla mia evoluzione e di conseguenza all'evoluzione dell'ambiente che mi circonda?
Lorenzo Cherubini, musicista, Cortona
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