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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 13:22.

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Gli intellettuali, si sa, amano piangersi addosso. Se la prendono con la cultura di massa, con lo strapotere della televisione, con i bestseller facili che dominano le classifiche di vendita. Gli intellettuali delle ultime generazioni, poi, sono anche peggio: se la prendono con tutte queste cose e – in più – con gli intellettuali delle generazioni precedenti, che non si decidono a cedere il passo. Questo non è un Paese per giovani – è vero – e tantomeno è un Paese per intellettuali.Ma forse il modo migliore per reagire a questa emarginazione non è continuare a denunciarla come uno scandalo – il fatto è sotto gli occhi di tutti, e a scandalizzarsi siamo sempre gli stessi – quanto piuttosto cercare di uscire dall'angolo.
Tanto più che, per chi è nato dagli anni Sessanta in poi, non c'è un tempo andato da rimpiangere. Il silenzioso ma incessante movimento tellurico che ha segnato la fine della società letteraria come l'avevano conosciuta i nostri padri e ha cambiato radicalmente i rapporti tra chi produce cultura e chi la promuove, la veicola, la vende, la consuma è per noi un dato di fatto. È il rumore di fondo che ha accompagnato la nostra crescita e la nostra formazione.

Ma appunto come un rumore abbiamo cercato sempre di allontanarlo, aggrappandoci alle nostre letture e a un'identità ereditaria. Ciò fa di noi una generazione di intellettuali che forse Pasolini avrebbe definito "mutati" o "mutanti". Coloro che, vale a dire, hanno eletto idealmente a propri maestri molti grandi del Novecento, ma hanno avuto per maestra di vita un'epoca già completamente diversa. Una parte di ognuno di noi vive insomma da tempo al di là del guado. Siamo sicuri che sia la parte peggiore?
Forse è proprio questa natura anfibia che – grazie a uno sguardo al tempo stesso interno ed esterno – potrebbe consentirci di decifrare meglio il mondo che ci circonda. Forse è proprio da questa natura che si potrebbe ripartire per rimettere a fuoco la figura dell'intellettuale e il suo ruolo in una società così diversa. Forse – dopo che per anni ci siamo letti l'un l'altro e affrontati (e scontrati) a distanza – i tempi sono maturi per parlarne tutti insieme. Sui palchi dei festival e delle presentazioni letterarie, sulle pagine e tra i commenti dei blog, oppure nel privato di incontri faccia a faccia o attraverso intensi scambi di mail, ne abbiamo già discusso molto, con la crescente consapevolezza che proprio intorno a questi punti si giocasse una partita fondamentale. Forse adesso è il momento giusto, al di là dei singoli libri e delle poetiche di ognuno, per affrontare questi temi in maniera meno occasionale e aprire tra di noi un confronto che arrivi a produrre idee, proposte, progetti nuovi. Smettere di piangere sulle macerie di un'epoca passata e provare insieme a ricostruire un orizzonte comune: frastagliato, contraddittorio, conflittuale, ma dinamico, vitale, in contatto con la realtà. Per questo abbiamo deciso di organizzare una serata di dibattito in cui approfondire argomenti che – immaginiamo – ci terranno molto impegnati negli anni a venire: Generazione TQ, un seminario che si terrà il prossimo 29 aprile nella sede romana della Laterza e coinvolgerà oltre un centinaio di scrittori, critici, editori trenta-quarantenni.

L'iniziativa nasce, più che da un desiderio, da qualcosa che somiglia a un bisogno. Il bisogno di alzare la testa dal lavoro di tutti i giorni e provare a discutere insieme di alcune questioni generali, indispensabili per dare un senso a quello che facciamo. Un momento di scambio che intende far tesoro della pluralità di percorsi ed esperienze per individuare un orizzonte comune: un nucleo di idee dalle quali ripartire. Nessuna intenzione di formare scuole movimenti correnti o simili: solo la volontà di superare la linea d'ombra che finora ci ha protetti e uscire finalmente allo scoperto.

Trenta Quaranta - Siamo cresciuti in ordine sparso, senza un'ideologia comune. Senza metodi, strumenti, terminologie condivise: e questo forse è stato un bene. Ma l'individualismo al quale siamo stati addestrati rischia ora di renderci afasici: ognuno chiuso nel suo recinto, quale impatto abbiamo sulla realtà? Siamo intellettuali muti o mutanti? E soprattutto: ha ancora un senso parlare di intellettuali? (oggi va più di moda esperti).

Tale e Quale - Manchiamo di un'identità collettiva che ci contrapponga alle generazioni precedenti. Quasi tra noi e loro ci fosse una fluida continuità: quali i padri, tali i figli. Ma – appunto – quali sono i nostri padri? Alle nostre spalle, in fondo, non c'è nulla di così solido e monumentale; semmai un tempo poroso, permeabile e proteiforme: e forse questo non è un male. Ma di qui nasce l'assenza di contrapposizione; di qui la difficoltà di (auto)definizione. Può esserci un impegno senza conflitto? E soprattutto: ha ancora un senso parlare di impegno? (oggi va più di moda etica).

Tanto Quanto - Abbiamo in comune un immaginario nato dagli stessi film e telefilm, fumetti e cartoni animati, dagli stessi comici e gruppi rock, ma spesso non condividiamo le stesse letture. Siamo abituati a mescolare cultura alta e bassa, sublime e triviale: e forse anche questo non è un male. Ma poi, nel momento di giudicare un prodotto culturale, diventiamo spesso esigenti e aristocratici. A quale idea di cultura pensiamo quando produciamo qualcosa? E soprattutto: ha ancora un senso produrre cultura? (oggi va più di moda comunicazione).

Tarantino Quentin - L'ultimo movimento letterario percepito dai mass media è stato quello del pulp e dei cannibali. Perché preventivamente confezionato come operazione editoriale; perché supportato dal riferimento comune a un film di grande successo come Pulp fiction; perché i media hanno cavalcato l'immagine "giovane" degli scrittori coinvolti. È questo che devono fare la letteratura, la critica, l'editoria per sopravvivere in un contesto dominato da logiche spettacolari? Ovvero: come si fa a incidere sulla realtà se non si risveglia l'interesse dei media e dunque del pubblico? E soprattutto: esiste ancora un pubblico della letteratura? (oggi va più di moda dire mercato).

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