Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2011 alle ore 16:27.

My24
Valery Gergiev (foto sito Teatro alla Scala)Valery Gergiev (foto sito Teatro alla Scala)

Si può scrivere, con il sopracciglio leggermente alzato, che un evento musicale che proponga il Concerto in si minore op.104 per violoncello e orchestra di Antonin Dvorak e la Sinfonia in si minore op.74 «Patetique» di Petr Ilic Cajkovskij sia un concerto popolare? Certo che si può, ed è stato fatto. La cosa cambia, però, se l'evento ha luogo al Teatro alla Scala con protagonisti quali l'Orchestra Filarmonica diretta da Valery Gergiev e con Mario Brunello al violoncello.

Qui è in gioco la perfezione interpretativa ai limiti dell'umano, ed è di questo che si deve parlare. Se poi le due partiture sono note, tanto meglio, perché la perfezione può diventare percettibile dai più. Il Concerto op.104 di Dvorak appartiene alle opere che il compositore ceco licenziò durante il periodo che trascorse a New York (1892-1895) come direttore del Conservatorio Nazionale, ivi invitato da uno dei fondatori dell'ente, la signora Jeannette Thurber. La più conosciuta delle partiture "americane" di Dvorak è sicuramente la Sinfonia n.9 op.95 (n.5 secondo una vecchia numerazione) detta Dal Nuovo Mondo. Ma poi, oltre al Concerto per violoncello e orchestra, si citano il Quartetto per archi op.96. il Quintetto per archi op.97 e la Sonatina op.100.

Molti sostengono che per Dvorak gli anni trascorsi oltre Atlantico abbiano avuto lo stesso effetto del "risciacquo dei panni in Arno" di manzoniana memoria. Fondamentale è stata per lui l'amicizia del compositore afro-americano Harry Burleigh che trascorse con lui molto tempo per fargli conoscere gli spiritual e le canzoni popolari della sua gente. Le tracce melodiche e armoniche di questi brani sono evidenti nella Sinfonia (specie nel primo movimento e nel secondo, il celebre Largo con l'assolo del corno inglese) e altrettanto nel Concerto che ha brevi sequenze pressoché identiche. Chi abbia ascoltato Brunello e Gergiev alla Scala con queste consapevolezze ha provato emozioni indimenticabili, accentuate dall'incantevole bellezza del suono del violoncellista veneto. E poi c'è Gergiev, imponente e bello nel gesto quando – come fa quasi sempre – dirige senza bacchetta.

Le mani, anzi le dita vibrano dolci ma imperiose, e sembra che i suoni provengano da lì. Quanto alla Sinfonia Patetica, si è trattato di una sorta di interpretazione autentica, perché meglio di così non si può. Penso soprattutto alla forza d'assieme dei violini, e all'Adagio Lamentoso del Finale, dove la musica non finisce ma piuttosto muore, come è morto (volutamente) il prèsago autore nove giorni dopo averla diretta in première a San Pietroburgo, dal 16 al 28 ottobre 1893.

Quando la musica si spegne, Gergiev resta immobile in un silenzio significante per quasi mezzo minuto, come usa fare con la Patetica anche il grande Yuri Temirkanov del quale Gergiev fu assistente. Spiace che (proprio alla Scala!) il silenzio sia stato interrotto dall'applauso di una minoranza troppo frettolosa e poco provveduta. In fortunata coincidenza con il concerto e le due repliche scaligere, è uscito in questi giorni il libro di Mario Brunello «Fuori con la Musica», scritto per Rizzoli con la collaborazione di Daniela Basso.

Bisogna sapere che Brunello usa portare le Suite di Bach sulle Dolomiti, sul Monte Fuji, sulle rocce di Matera, sul Timbain nel Sahara tunisino, nei festival del jazz perché, dice, «quelle musiche sono incommensurabili». Il libro si divora in poche ore, ma qui è il caso di privilegiare due capitoli: l'uno dedicato al concerto tenuto da Brunello a San Pietroburgo il 13 aprile 2010 con l'Orchestra Kirov del Teatro Mariinskij, direttore Valery Gergiev, in programma il Concerto per violoncello e orchestra di Dvorak; l'altro intitolato alla sublime Verklarte Nacht di Schonberg e alla poesia omonima di Richard Dehmel cui la musica strettamente si riferisce. Faccio questa seconda menzione perché un poco mi riguarda e ne chiedo venia.

Brunello cita l'intera traduzione in italiano della poesia compiuta nel 1960 dal professore e poeta Diego Valeri dell'Università di Padova, richiestagli dal sottoscritto allora studente universitario e direttore della Società di Concerti padovana, pure universitaria. I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone, appena fondati, dovevano tenere un concerto con la Verklarte Nacht nel programma e Valeri tradusse la poesia. Stupenda traduzione poi caduta nell'oblio, fino a questa citazione quanto mai opportuna di Brunello.

Mi si permetta di riportarla per intero come modesto (e un po' nostalgico) contributo al suo ricupero:

Vanno i due per il bosco freddo, nudo/ sotto la luna che cammina a paro/ La luna corre sopra l'alte querce/ non una nube turba il chiaro cielo/ in cui si drizzano soli i rami neri./ La voce della donna dice: «Io porto/ nel grembo un bimbo, e non è il tuo bambino./ Sono in peccato accanto a te: violenza/ mi sono fatta da me stessa, a me./ Più non credevo alla felicità/ ma avevo ancora un grave desiderio/ di vita, di maternità: dolcezza e dovere./ E così da svergognata/ mi son lasciata prendere da un uomo/ pur avendone orrore, da un estranio;/ e di questo mi sono anche lodata./ Ora la vita fa le sue vendette/ Ora che ti ho incontrato…»./ Ella cammina / con duri passi, leva il capo, guarda/ la luna che lassù con lor cammina./ Il cupo sguardo s'inebria di luce./ Ora la voce dell'uomo risponde:/ «La creatura da te concepita/ non pesi sul tuo cuore: oh guarda come/ luminoso risplende l'universo!/ Qui tutto è nella luce. Tu cammini/ con me nel freddo mare, ma una fiamma/ in me da te, in te da me, si spande/ che il bimbo estranio trasfigurerà./ Tu lo partorirai per me, da me: tu scaturire hai fatto dal mio cuore/ la luce: tu mi hai rifatto bambino»./ Egli l'abbraccia intorno ai forti fianchi/ i loro fiati si baciano nell'aria./ Vanno i due per la chiara notte.

Si legga la poesia, poi subito si ascolti la musica, e si rilegga e si riascolti.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi