Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2011 alle ore 08:23.

My24

Quando si incontravano per le vie di Roma facevano letteralmente scintille, si apostrofavano con parole grosse e mettevano volentieri mano allo spadone. Erano anche capaci di litigare a distanza, attraverso poesiole e sonetti infamanti che si indirizzavano l'un l'altro. Per questo, in più di un'occasione, finirono davanti al magistrato. Li avrete riconosciuti: stiamo parlando di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e del suo collega-nemico Giovanni Baglione, ovvero due dei più grandi pittori (e attaccabrighe) attivi a Roma nei primi dieci anni del Seicento.
Caravaggio è diventato una star universale, Giovanni Baglione un po' meno. Ma ogni volta che si affronta il tema di Caravaggio a Roma è praticamente impossibile non rievocare la figura parallela di Giovanni Baglione. Questo per dire che Baglione è un pittore importante, autore di opere di grande qualità formale e per questo amato e studiato da generazioni di storici dell'arte.
Alla luce di tutto ciò, appare piuttosto sorprendente la notizia emersa qualche giorno fa attorno alla mostra «Caravaggio a Roma. Una vita dal vero», aperta fino al 15 maggio nell'Archivio di Stato della capitale. Qui, accanto a documenti e dipinti caravaggeschi, si trovano – direi d'obbligo – alcune tele di Giovanni Baglione. Una di queste è l'Ecce homo conservato alla Galleria Borghese.
Si tratta di un'opera nota e stranota, che gli studiosi hanno attribuito a Giovanni Baglione sulla base dell'inconfondibile stile. Una tela che ha fatto anche tappa in varie mostre, in Italia e all'estero (Roma, Milano, Vienna), senza che nessuno, ma davvero nessuno, si sia mai accorto di un piccolo, fondamentale dettaglio.
Tale dettaglio è tranquillamente sfuggito anche ai curatori della mostra allestita all'Archivio di Stato dove la tela, s'è detto, è presente. In fase di preparazione, la curatrice Federica Paci ha esaminato il dipinto e ne ha affidato lo studio a Michele Nicolaci, il quale – a sua volta – ha scrutato l'opera e redatto con diligenza la scheda in catalogo. Senza accorgersi di nulla.
Ma è bastato collocare il dipinto sotto nuovi faretti e mettersi a osservarlo da un punto di vista un po' eccentrico per vedere il "dettaglio" sinora sfuggito a tutti: mimetizzate nel fondo scuro, in alto a destra tra la veste rosa di Cristo e la cornice, sono affiorate la firma dell'artista e la data del quadro, scritte – per giunta – a caratteri cubitali: «IOANNES BALIONE/E.R.F 1606».
Ma chi si è accorto dell'importante iscrizione sfuggita a generazioni di detective dell'arte? Incredibile a dirsi, è stato lo stesso Michele Nicolaci, però in veste diversa da quella di studioso. Entrato a far parte del «servizio guide» della mostra, il «cicerone» Nicolaci si è imbattuto nella firma nel bel mezzo di una visita guidata.
Stava spiegando il quadro a un gruppo di visitatori quando ha aguzzato la vista e ha letto l'iscrizione. È trasalito ed è corso a casa per controllare la bibliografia: nulla, né Roberto Longhi né nessun altro prima e dopo di lui ha mai parlato di una firma sul quadro. È tornato in mostra per sincerarsi di non aver avuto un'allucinazione visiva: no, la firma e la data c'erano sul serio; anzi, adesso che erano state intercettate, le si potevano tranquillamente vedere a occhio nudo.
Trascrivendo e interpretando la firma e la data, Michele Nicolaci è stato infine in grado di definire con esattezza la cronologia del quadro. Accanto al cognome di «BALIONE» si leggono le lettere E. R. che significano E(ques) R(omanus). Poiché sappiamo che Baglione ottenne l'investitura a cavaliere il 6 settembre 1606 nella chiesa di Santa Cecilia a Roma, siamo in grado di dire con certezza che il quadro venne realizzato entro gli ultimi quattro mesi di quell'anno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi