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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2011 alle ore 08:22.

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Quest'anno il poeta lituano-polacco Czesl/aw Mil/osz, premio Nobel per la letteratura nel 1980, avrebbe compiuto cento anni. A Cracovia, dal 9 al 15 maggio si terrà un grande Festival internazionale a lui dedicato, intitolato «Europa Familiare», dal titolo di uno dei suoi saggi più famosi, del 1959 (in italiano: La mia Europa, Adelphi 1985), con dibattiti, letture, concerti e proiezioni di documentari. Si è appena conclusa a Venezia, nell'ambito della rassegna «Incroci di civiltà», una tre giorni di incontri e letture delle sue poesie alla presenza del figlio Anthony e dello storico Adam Michnik, dei poeti Antonella Anedda, Urszula Koziol/, Ewa Lipska, Jaroslaw Mikol/ajewski, Tomas Venclova, Adam Zagajewski. Nell'occasione è stato presentato un volume fuori commercio (Poesie e frammenti italiani) che raccoglie tutte le poesie e le prose di Mil/osz che parlano del nostro paese. Ed è in programma, in dicembre, un convegno su di lui, organizzato dall'Università di Roma.
Mil/osz, che è stato uno dei più grandi poeti del Novecento oltre che un intellettuale coraggioso e un lucido critico sia del sistema comunista che di quello capitalista, ha mancato di poco questo compleanno, essendosi spento il 14 gennaio del 2004 a Cracovia. Era convinto di arrivarci e ci scherzava spesso sopra. Del resto, Mil/osz appariva come una roccia: aveva il fisico da boscaiolo e il carattere di un'aquila. Ha avuto una vita difficile: la guerra, la fuga in Occidente nel 1950, i primi anni duri dell'emigrazione, la lunga malattia della prima moglie. Sopportò tutto con grande forza di carattere, badando bene a non farsi travolgere dall'autocommiserazione e accecare dal risentimento. I riconoscimenti e le soddisfazioni gli giunsero poi copiosi, ma tardivi. Più invecchiava e più le sue poesie diventavano belle e profonde, la sua prosa saggia, il suo coraggio lucido. Ciò che gli tagliò le gambe fu l'improvvisa morte della seconda moglie, l'americana Carolina Thigpen (1944-2002), alle quale dedicò un disperato canto: Orfeo ed Euridice (2002). Negli ultimi due anni si trasformò improvvisamente in un vecchietto, rinchiuso nella sua cavità di dolore, annebbiato da una quasi totale sordità.
Appena prima, Mil/osz, che lavorò fino alla fine, aveva fatto in tempo a ricapitolare tutta la sua vita, incasellandola in un Abbecedario (1997-1998) di piccoli racconti che costituiscono, oltre che uno degli esiti più riusciti della sua prosa, un genere letterario tutto particolare: all'incrocio tra la narrazione autobiografica e la riflessione filosofica: «Forse questo mio Abbecedario nasce in luogo di: in luogo di un romanzo, in luogo di un saggio sul Novecento, in luogo di un libro di memorie».
Le decine di personaggi evocati vengono caratterizzati da pochi dati esteriori, spesso racchiusi in un dettaglio nemmeno troppo essenziale. Ma ciascuno mette in moto una fitta rete di riferimenti e dipendenze reciproci, tenuti insieme dalle date del suo secolo. Il lettore si trova così a saltare dalla Lituania, alla Polonia, a Parigi, a San Francisco e gli Stati Uniti, in una miriade di nomi e fatti che possono dare una vertigine da Torre di Babele, ma risultano alla fine del tutto chiari (grazie anche a un ricco e accurato apparato di note in fondo al volume: ma nella prossima edizione andranno corretti parecchi refusi, come la confusione tra le note di Borejsza e Borowik o Congrès dove un condottiero russo diventa un contadino).
In questo straordinario libro, ricco di saggezza e pietà, tanti sono i temi e le figure che meriterebbero di essere segnalate. Alcuni ritratti di amici di infanzia sono di grande intensità emotiva, ma anche per le figure di colleghi (esemplare, ad esempio, il racconto dell'esistenza di Halina Sosnowska) e artisti noti, o filosofi e politici famosi, riesce a trovare una chiave originale per presentarli, alla luce del suo rapporto con loro. La cosa che li accomuna è che sono tutti morti. Il poeta appare quindi come l'ultimo sopravvissuto di un secolo tremendo che sta ripercorrendo la sua agenda telefonica con tutti i nomi ormai cancellati da un definitivo tratto di penna.
Il grande studioso polacco di Shakespeare, Jan Kott, recensendo il libro (Tygodnik Powszechny del 17 agosto 1997), sostenne che in questa sorta di arcipelago della memoria la cosa che lo colpiva di più era il manicheismo di Mil/osz: l'idea che il mondo sia incurabilmente cattivo. Ma anche se il Male e il Dolore assurdo attraversano tutte le storie di questo volume, Mil/osz ha il distacco di uno scrittore dell'antichità classica, e talvolta persino un'ironia indulgente, anche verso se stesso e certe sue rigidezze del passato, soprattutto verso l'amato/odiato Occidente. A differenza di molti fuggiti dall'Est o dissidenti, egli rimase sempre critico verso il «mondo libero». Ben conscio e riconoscente dei vantaggi delle democrazie, ma non per questo accecato difronte alle loro contraddizioni: «La vergogna di provenire da una famiglia vissuta per secoli sfruttando il lavoro del popolo mi spingeva a sinistra (à). Il sistema americano non mi piaceva, ma non mi piaceva nemmeno il comunismo».
Al Male del mondo, Mil/osz contrappone, con la sua arte, la bellezza della Natura. Le descrizioni delle foreste e dei laghi della Lituania e dei paesaggi a perdita d'occhio della California costituiscono la sua riserva luminosa contro il buio della Storia.
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abbecedario Czesl/aw Mil/osz a cura di Andrea Ceccherelli Adelphi, Milano pagg. 328|€ 23,00

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