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Questo articolo è stato pubblicato il 02 maggio 2011 alle ore 16:57.

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Omaggio a tre giganti della danza all'Opera di Roma. Intervista ad Alessandro Riga, giovane Béjart nella suite "Gaîte parisienne".Omaggio a tre giganti della danza all'Opera di Roma. Intervista ad Alessandro Riga, giovane Béjart nella suite "Gaîte parisienne".

Gli è sempre piaciuto ballare. Fin da piccolo. Ma non è di quelli che rispondono che la danza è tutta la sua vita e che vive solo per essa. Gli piace la normalità. Ama viaggiare, stare con gli amici, parlare di qualsiasi cosa. E, nelle serate libere, andare ai concerti di musica classica.

«Mentre ascolto c'è sempre qualcuno, qualcosa, che si muove nella mia testa. La musica muove tutto. Se non ti piace la musica non può piacerti la danza». Alessandro Riga, venticinque anni, originario di Crotone, talento ormai riconosciuto della danza internazionale, in continua crescita, è uno a cui piace stare coi piedi per terra. Ha la semplicità di un giovane della sua età. Nonostante il successo, meritato, che già lo accompagna, non è affetto da "divismi strani" come lui li chiama. Si è formato alla scuola del Teatro dell'Opera di Roma. Qui il debutto.

Il suo primo vero ruolo da protagonista è stato un'Ofelia "en travesti" nello spettacolo «Amleto, Principe del sogno» accanto a Carla Fracci. «È stato difficilissimo entrare nel personaggio anche perché, all'inizio, non capivo dove volesse arrivare Luc Buy (il coreografo, ndr). Eravamo tutti uomini ed io vestito da donna. Ho fatto fatica, ma poi mi sono lasciato andare e il risultato è stato ottimo». Sono seguiti altri ruoli e riconoscimenti importanti come il Premio Danza&Danza, nel 2003, e il Premio Postano. Quindi la decisione di andare all'estero. A Dresda. Due anni nella compagnia Semperopern Dresden Ballet diretta da Vladimir Derevianko. «Un'esperienza bellissima, dove ho lavorato e ballato tanto. Si creava una produzione diversa ogni quindici giorni. Derevianko mi ha dato subito dei ruoli importanti in coreografie di Kylian e Neumeier».

Poi il ritorno in Italia. Coreografi come Luciano Cannito e Francesco Ventriglia, hanno creato appositamente per lui. Attualmente è nella compagnia fiorentina del MaggioDanza e ballerino ospite in diversi teatri. Fra cui, ancora, l'Opera di Roma dove debutterà il 3 maggio nella coreografia di Maurice Béjart "Gaîte parisienne", uno dei quattro titoli della serata omaggio a tre grandi coreografi della seconda metà del Novecento: Béjart - Balanchine - Robbins.

Sulla musica di Jacques Offenbach, Béjart, in una visione ampiamente autobiografica, il balletto racconta le fantasie oniriche di un giovane che arriva a Parigi per studiare danza. «È la prima volta che affronto Béjart. E mi diverte molto questo ruolo. È gioioso, allegro. È la storia di un ragazzino che si ritrova a ballare completamente scoordinato con una maestra severissima che lo bacchetta e alla fine quasi si innamora di lui. Lavora tanto, migliora, e si ritrova ad essere un ballerino. Sono divertenti anche tutti gli altri ruoli: ad esempio quello di Offenbach, o della Jeune fille che rappresenta l'amore, la purezza. È fatto di piccoli dettagli che messi insieme formano una straordinaria composizione».

Creato per il Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles nel 1978, il balletto appartiene a quelle creazioni intime di cui Béjart era geloso. «Purtroppo ci sono pochi video di questo balletto. È stato poco rappresentato. Mi hanno raccontato che egli dava soltanto i grandi titoli alle altre compagnie; mentre altri, come Gaîte, li teneva per sé. Esiste un video della prima assoluta, in bianco e nero, del '78, che abbiamo esaminato. Basta guardarlo per capire lo spirito del balletto. Cercherò di farlo a modo mio, magari mettendoci i miei ricordi e le mie sensazioni di quando ho iniziato a ballare da piccolo. In fondo è un ruolo semplice, genuino. Di un bambino a cui piace ballare».

Potendo scegliere Alessandro preferisce i ruoli drammatici a quelli più leggeri. «Prediligo il dramma, i ruoli strazianti, la musica che viene dalle viscere». E, nella distinzione che spesso si fa tra stile classico e contemporaneo, non ha dubbi. «Il balletto di repertorio ha sempre il suo fascino, però col moderno e il contemporaneo riesci a goderti di più lo spettacolo, il movimento. È meno rigido, nonostante mi piaccia anche quel rigore che richiede il classico. Non rappresentano il vecchio e il nuovo, ma due linguaggi diversi, dove l'uno non esclude l'altro. È solo un altro modo di vedere il movimento».

Spaziando dal classico al contemporaneo Alessandro, che possiede eleganza, espressività, e potenza fisica, ha accumulato ruoli in balletti importanti: in Dafne e Cloe di Neumeier, in Schiaccianoci, Sogno di una notte di mezza estate, Don Chisciotte, Giselle, Pulcinella e Arlecchino, Romeo e Giulietta. Solo per citarne alcuni. Ma il ruolo, finora, al quale è più legato è quello del balletto L'Arlesienne di Roland Petit, danzato accanto ad Eleonora Abbagnato.

È il racconto di una passione che porta alla follia fino alla morte. Il giovane infelice Frederi innamorato dell'ombra della "sua" Arlesiana, dopo una danza travolgente segnata dalla pazzia, finirà col lanciarsi nel vuoto da una grande finestra inseguito dal fantasma della sua mente. «Mi ha segnato tanto, sia per la difficoltà, perché non credevo di riuscire ad arrivare alla fine, sia per la musica e per la coreografia. È il ruolo che mi è rimasto più nel cuore. Soprattutto l'assolo. Quello sì che ti svuota fisicamente e mentalmente. Quando ti lanci nel vuoto dalla finestra potrebbe veramente non esserci nulla sotto e sarebbe la stessa cosa, ti lanceresti ugualmente».

Consapevole di aver fatto una carriera veloce, Alessandro riconosce che per essere un bravo ballerino «è necessario, oltre al talento, molto lavoro e tanti sacrifici. Ci vuole intelligenza e passione. Un mix di tutte queste cose. E, forse, a questo punto ci si può avvicinare ad essere un bravo danzatore». Se non avesse intrapreso questa strada gli sarebbe piaciuto fare il medico. «Ma se da domani mi dicessero che non posso più ballare non saprei cosa fare. Dovrei inventarmi qualcos'altro. Se uno pensa di cambiare la propria vita pensa a qualcosa di meglio ed io per adesso quel meglio non l'ho ancora trovato. Quando lo troverò magari smetterò. Il mio meglio oggi è la danza. È una grossa parte della mia vita, della mia giornata, e ne sono felice. Mi piace, mi fa sudare, mi fa sentire che sto facendo qualcosa di importante, mi riempie. Senza di essa sarebbe un'altra cosa, nonostante tutte le varie crisi. Ne ho avute svariate. Arrivano quando si accumula troppo lavoro, troppa stanchezza, o quando ti fermi a guardare alle troppe rinunce che hai fatto e ti chiedi se hai sbagliato strada. Però alla fine ritorni sempre là, alla danza».

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