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Questo articolo è stato pubblicato il 03 maggio 2011 alle ore 13:12.

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Lola Lafon, la voce "no global" che canta una vita da ladraLola Lafon, la voce "no global" che canta una vita da ladra

Se persino la collana musicale degli inglesissimi libri di viaggio firmati Rough Guide pubblica una compilationdedicata a Parigi, è un segno. Vuol dire cioè che la Rive Gauche è tornata di moda, di gran moda. «Paris Lounge»  (titolo lievemente ingannatore) è un cd appena uscito che fotografa in diciassette miniature la Nouvelle Vague d’Oltralpe, trabeatelettronici e jazz manouche, chitarre da bistrot e chanson française.

Una raccolta che passa dalla malinconia dolceamara e maledetta di Benjamin Biolay - l’ex marito di Chiara Mastroianni, attore, cantautore e produttore che ha scritto per Juliette Gréco, Henri Salvador, Françoise Hardy ed è considerato l’erede di Serge Gainsbourg - alla vocalità sensuale e perturbante di Julie B. Bonnie e Marianne Dissard, parigina trapiantata a Tucson, Arizona, amica e collaboratrice di Joey Burns dei Calexico.

Il canto libero di Lola
Ma il nome sul quale puntano i bookmakersdella musica sofisticata è quello di Lola Lafon, cantante e scrittrice. Quando nel 2006 uscì «Grandir à l’envers de rien», il suo disco d’esordio, la stampa transalpina (soprattutto quella di sinistra) gridò al miracolo. Voce no global, simbolo di una rivolta generazionale ed esistenziale prima ancora che politica, la ragazza entrava a gamba tesa nel mondo del pop patinato e adolescenziale. In che modo? Proponendosi come un esplosivo mix di Patti Smith e Goran Bregovic, folgorata sulla via della Senna da Barbara.

«La mia idea - racconta - è di suonare musica tradizionale come se fosse rock e di fare rock come se si trattasse di musica tradizionale. E tra i miei amori ci sono i Rolling Stones, di cui ho registrato una cover di Paint It, Black, Jeff Buckley e i Radiohead, ma pure Philip Glass, i Mano Negra e Billie Holiday».

Una storia molto rock
Trentasei anni e uno sguardo da animale braccato, Lola proviene da una famiglia multietnica con una vita decisamente avventurosa alle spalle: «Mio padre, che è nato in Francia, insegnava letteratura del Settecento; mia madre invece è una professoressa di origine bulgara. E io ho vissuto nella Romania di Ceausescu prima di trasferirmi a Parigi. Poi a diciott’anni sono andata a New York per fare musica: insomma, una storia molto rock and roll…».

Pensando a Fabrizio De André
Oggi la Lafon è arrivata al terzo romanzo, «Nous sommes les oiseaux de la tempête qui s'annonce», che l’editore Flammarion annuncia come un «racconto insurrezionale e femminista». Mentre, in parallelo, si ripresenta sulla scena con i quindici bozzetti sonori di «Une vie da voleuse»(cioè “una vita da ladra”), il nuovo album che esce per l’etichetta Le Chant du Monde e che in patria ha già ricevuto ottimi riscontri.

Canta e parla in sei lingue
Oltre al francese, lei si esprime e canta in cinque lingue: inglese, macedone, rumeno, bulgaro e italiano. E proprio nell’idioma di Dante è il pezzo più emozionante del lavoro. Si tratta della ripresa di«Valzer per un amore», vecchissima e bellissima canzone di Fabrizio De André (che lei adora). Un brano arrangiato con uno stile che mescola musica popolare e punk, chitarra e violoncello, bouzouki e percussioni selvagge.

Il resto viaggia tra atmosfere anni Sessanta e suoni decisamente orientati verso il folk. Con dentro testi che parlano di rivolte e nostalgie, amori, rancori e abbandoni. Più echi di fisarmoniche malandrine che fanno tanto Parigi d’antane che si ritrovano anche in altri pezzi, quali «L’abandon» (scritta dal cantautore francese Dominique A) e la conclusiva e melanconica «À quoi ça sert».

E, alla fine, la sensazione è che Lola Lafon sia un’alchemica reincarnazione di Édith Piaf , passata nel frullatore esistenziale di Leonard Cohen.

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