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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 08:20.

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Svevo fumava «non solo con la bocca ma con tutto il corpo e con tutta l'anima sessanta sigarette al giorno». E questo vizio, che per tutta la vita cercò di arginare con solenni promesse di smettere – un vizio abilmente trasmesso alle pieghe contorte della psiche di Zeno – gli costò la crisi cardiaca che lo portò alla morte a Motta di Livenza, dopo l'incidente automobilistico del 12 settembre 1928. In quel caso, mentre giaceva in un letto d'ospedale, chiese al cugino Aurelio Finzi di dargli quella che davvero sarebbe stata "l'ultima sigaretta", ma gli fu negata. Strano destino di questo grande narratore, scomparso dopo essersi goduto per una piccola manciata di anni quel successo che aveva sempre atteso con fede incrollabile sin da quando, dopo l'uscita dei suoi due romanzi Una vita e Senilità presso la tipografia locale Vram, si guadagnò soltanto una "deludente" citazione di sole due righe da parte di Silvio Benco nel suo libro sulla Trieste culturale del 1910.
Ma anche quando, come ricorda Giampiero Mughini nel suo In una città atta agli eroi e ai suicidi (un bel libro che pone in relazione Svevo con i maggiori letterati triestini, da Carlo e Giani Stuparich a Giorgio Voghera, da Scipio Slataper a Umberto Saba, da Bobi Bazlen a Renzo Rosso), il successo per Svevo arriverà dopo la pubblicazione de La Coscienza di Zeno nel 1923, il percorso che lo indicherà come uno dei principali libri del Novecento italiano sarà tutt'altro che spedito. Il lungo processo di divulgazione di Svevo, infatti, cominciato con la promozione parigina di James Joyce, suo maestro di inglese e primo estimatore sin dal 1907, avrà ulteriori fasi alterne, tant'è che quelle millecinquecento copie di Zeno uscite da Cappelli videro scarsi compratori in Italia e, tra l'altro, il disprezzo di Giulio Caprin sul «Corriere della Sera», che sollevò così tanti dubbi sulla "letterarietà" dello scrittore triestino da dare la stura alla pioggia di critiche sulla sua "lingua poco italiana". Un vero e proprio complesso che attanagliò il povero Svevo negli ultimi anni, sino a indurlo a una revisione linguistica del tutto inutile di Senilità prima della seconda pubblicazione del 1927 con l'editore Morreale. Anche di questa certo "patetica" riscrittura parla Mughini, entrando nel merito delle correzioni, e confrontando i due testi originali (compreso quello con gli interventi autografi dello scrittore). Per poi concludere che la prima edizione Vram del 1898 era già «perfetta e immodificabile».
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in una città atta agli eroi e ai suicidi. trieste e il «caso svevo» Giampiero Mughini Bompiani, Milano pagg. 160| € 15,00

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