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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2011 alle ore 16:22.

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Fragili, ma taglienti, "Teatri di vetro"Fragili, ma taglienti, "Teatri di vetro"

Va salutata con grande interesse la quinta edizione della rassegna romana Teatri di Vetro, ideata da Triangolo Scaleno con la direzione artistica di un'appassionata Roberta Nicolai, nel quartiere Garbatella. Una fabbrica e un cantiere di linguaggi contemporanei che, nel comporre una mappa ricognitiva dentro il territorio cittadino, cerca le tracce di un pensiero creativo, l'artigianalità degli autori, l'amabile imperfezione di chi ricerca. In apertura della prima tranche di spettacoli, che proseguirà fino al 28 maggio, due compagnie: ErosAntEros e Teatro del Lemming.

Teatro sensoriale? Teatro radiofonico? Teatro delle apparizioni? Tutto questo e niente di questo. Un numero esiguo di spettatori veniamo condotti uno ad uno da una ragazza, simile ad una bambola, dentro l'oscurità di un piccolo teatrino sistemato sul palcoscenico. Vi rimarremo per circa un'ora nel buio totale squarciato solo da brevissimi lampi di luce e da improvvisi flash stroboscopici. Per tutto il tempo, noi spettatori-voyeur, udremo le voci di due fratelli chiusi in quella casa-rifugio; ascolteremo i loro infantili discorsi di azioni quotidiane e di ricordi, e il resoconto di sogni ed incubi.

Fino a che l'irruzione di un seducente e malefico estraneo - un'altra voce -farà precipitare il loro racconto verso altri più inquietanti visioni. Complice la musica- ma è più corretto parlare di "sound design", di suoni e rumori che ci avvolgono da tutti i lati - sembrerà di essere sospesi in un impalpabile vuoto. Siamo forse dentro una casa di fantasmi o dentro la testa di qualcuno? Un'inquietante maschera di coniglio sarà l'ultima apparizione irreale di questa fantasmatica fiaba-noir.

Teatro sensoriale
Il titolo dello spettacolo «Asprakounelia (Treno fantasma)» dovrebbe rivelare infine di essere dentro il vagone di un treno, appunto, del quale udremo lo sferragliare di rotaie. Fin qui il tentativo di spiegare qualcosa dell'allestimento del generoso e giovane gruppo ravennate ErosAntEros. Ma l'imbarazzo che si prova è notevole. Anzitutto perché operazioni simili sono ormai datate e non aggiungono niente di nuovo a un tipo di ricerca teatrale già sperimentata mirabilmente da compagnie come la Societas Raffaello Sanzio, ai suoi felici esordi, e del Teatro del Lemming che fece del teatro sensoriale e olfattivo la sua ineguagliabile cifra. Inoltre si avverte la mancanza di un vero e proprio lavoro drammaturgico di approfondimento o, perlomeno, risulta molto fragile, dal quale partire e magari successivamente abbandonare, per sviluppare ed elaborare ulteriori linguaggi tecnologici.

Amleto
Una vaga impressione di dejà-vu segna anche l'«Amleto» della compagnia Teatro del Lemming. Ma nell'insieme lo spettacolo ha momenti di intensa visionarietà, di lucida indagine cognitiva, di energia poetica. Già all'inizio con l'apparizione del fantasma del padre da dietro un velario che chiuderà anche lo spettacolo: il re assassinato affida al figlio il compito di risolvere ciò che lui ha lasciato irrisolto. Perché questo è il destino dei figli, ci vuol dire il regista Massimo Munaro. Supplire alle mancanze, perpetrare il ricordo e la recita. Ma Amleto, rimasto solo, seduto a tavola a mangiare in una cena infinita, brucerà infine le pagine del suo racconto e si laverà in una cascata d'acqua, come a pulirsi di ogni residuo di ricordi, di gesti e di colpe.

Quelle dei padri che ricadono sempre sui figli. Munaro dà vita ad un Amleto frammentato, dilaniato, smarrito. Questa scissione avviene col sovrapporsi delle azioni e col moltiplicarsi dei personaggi che, scomposti e continuamente ribaltabili, attraversano la scena e la platea, la abitano con scene simultanee, si riproducono nei ruoli e nelle voci, si rivolgono agli spettatori interrogandoli e interrogandosi sul senso della finzione teatrale, sulla follia recitata e su quella sperimentata in diretta, su Amleto e sulla mancanza di battute da dire.

Il luogo fisico del teatro diventa così lo spazio perturbante in cui i morti tornano a tormentare i vivi. E quel gruppo che si ricompatta sul proscenio e guarda verso il pubblico ricorda gli attori della contessa Ilse dei pirandelliani «Giganti della montagna», difensori di una pratica, di un'arte, che si vorrebbe distruggere. Perché Amleto, il principe triste e solo, non sembra contare più nulla.

"Teatri di vetro". Roma, Teatro Ambra Jovinelli alla Garbatella, Palladium, Angelo Mai. Dal 18 al 28 maggio.

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