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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:22.

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Bisognerebbe rivalutare un elemento fondamentale del talento di un artista: l'ambizione. Perché è diventata una parola confusa, e con un'ombra sempre negativa. Come se ci fosse un giudizio nel pronunciarla, e nell'accento si sentisse quello che non si è detto: troppo ambizioso.
The tree of life di Terrence Malick è un film di un'ambizione smodata. E già in questa sfida riluce tutta la sua grandezza. Ovviamente, l'elemento dell'ambizione deve essere accompagnato da un talento, e il talento cinematografico di Malick, in ogni singola scena, è visibile a occhio nudo anche a chi di film nella vita ne ha visti una decina. Direbbe: ma qui succede qualcosa di diverso.
Infatti. Il film è facile da raccontare; oppure impossibile. Si parla di una famiglia americana negli anni Cinquanta, della vita casalinga di un padre fallito, violento, difficile; di una madre meravigliosa ma remissiva, che sa essere felice solo in assenza del marito; e di tre figli che crescono, di cui il primo è il punto di vista su questo piccolo mondo, un ragazzo che soffre, che soffre tantissimo di avere un padre così e soprattutto di comprendere che crescendo, gli assomiglia sempre di più. Fino all'arrivo di un lutto feroce.
Tutto qui. Assomiglia, questo impianto narrativo, a un'altra grande opera americana di questi tempi, il romanzo di Franzen, Libertà. Tutt'e due le opere entrano dentro la vita e gli anni di una famiglia americana per dire molto di più. Franzen, abbastanza ambizioso, cerca di raccontare l'America. Malick, smodatamente ambizioso, cerca di raccontare il senso della vita. Ma la differenza vera, come in tutti i grandi autori, non sta nel cosa si racconta, ma in come si racconta. Franzen è meticoloso, ordinato, "classico". Malick è caotico, digressivo, e fa esplodere la narrazione in mille frammenti. Non c'è paragone riguardo alla modernità: insieme a C'era una volta in America, The tree of life è il film di impianto proustiano più evidente nella storia del cinema. Ma si spinge oltre. Malick mette insieme un accumulo di momenti della vita di questo ragazzo e della sua famiglia, dal momento in cui sua madre è incinta fino al momento in cui lasceranno la casa, quando tutto si ferma, viene congelato, si passa alla vita contemporanea, e quel ragazzo che si è fatto uomo (Sean Penn) ha conservato tutto di quegli anni, ma più di ogni altra cosa, ha conservato quello sguardo macroscopico sull'esistenza. E la regia lo segue con una libertà narrativa ed espressiva magnifiche. Spesso la sceneggiatura coglie degli istanti che nessuno penserebbe mai di filmare, nella vita quotidiana. Tanto è vero che durante il film si riflette di continuo su quanta casualità ci sia in una scena, se sia stato possibile concepirla nella sua sintesi così trascurabile. Tutti i momenti senza peso, nel film diventano potenti.
È questa la caratteristica principale di Malick. L'idea che l'universo e un filo d'erba siano la stessa cosa, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo. E così anche l'esistenza intera di una persona si compone di piccoli gesti, di una camminata, di una fatica nel guardare le scale da salire, di una mano poggiata sulla spalla, di una piega del collo. Tutto, tutto; basta stare attenti. La differenza tra la vita e il cinema è sempre stata questa, nella sostanza: al cinema si vedono tutte le parti interessanti della vita; e non vuol dire per forza quelle decisive, ma si vedono quei momenti in cui le persone sono state attente, si sono accorte che stavano vivendo. Il cinema di Malick fa di più, prova addirittura a rovesciare questa proporzione: prova a mostrare che la vita, a volerlo, è fatta di tutti momenti interessanti, segmento dopo segmento. Addirittura, sembra raccontare The tree of life, se si nasce con la facoltà (o la dannazione) della sensibilità dello sguardo – anzi, della sensibilità di tutti i sensi – la vita si compone di tutti momenti indimenticabili. Ecco infine cosa può vedere chiunque nelle scene del cinema di Malick: che la vita è molto ma molto più importante di quanto appaia di solito. Di quanto appare nei momenti che ci sembrano dimenticabili.
Sì, certo, ad aggiungere ambizione ci sono le immagini che collegano direttamente la sensibilità luttuosa, la ricerca di un Dio di questo ragazzo, con l'universo e la storia dell'umanità. Il tentativo di mettere in contatto diretto – è questa poi l'idea che fonda l'ambizione smodata di Malick – l'universo e la mano poggiata sulla spalla. È vero che i dinosauri sono eccessivi, ed è vero che le immagini bellissime che entrano nel montaggio filosofico-esistenziale sono a metà tra cinema grandissimo e salvaschermo del computer. Ma è quasi scontato che un'opera del genere sia imperfetta. I film perfetti si fanno dopo che una strada è stata percorsa mille volte. Quelli che cercano una strada nuova non possono trovare tutto spianato; e qui Malick va a cercare terreni inesplorati, a sperimentare l'incontaminato; quindi l'imperfezione è parte necessaria e attiva della grandiosità di quest'opera. Che dimostra sia che il cinema ha davanti ancora tanto terreno da conquistare; sia che rimane la forma espressiva più adatta a cogliere il senso della contemporaneità.
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the tree of life di Terrence Malick India, Uk, Drammatico, 138', 2011 Cast: Brad Pitt, Sean Penn, Joanna Going, Fiona Shaw, Jessica Chastain, Jackson Hurst

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