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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:21.

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TAMO. La parola sembra una dichiarazione d'amore, invece è il nome di un nuovo museo aperto ieri a Ravenna. L'acrostico – che sta per «Tutta l'Avventura del MOsaico» – andrà ad allungare la serie di buffe sigle con cui sono stati battezzati negli ultimi anni alcuni musei italiani. A coppie, ne ricordiamo alcuni: il MIC e il MAC, il PAN e il PAC, la GNAM e la GAM e il MAXXI e il MIAO.
TAMO però è diverso. Non è solo una sigla, è un'autentica dichiarazione d'amore verso un'arte antica e nobile che ha reso Ravenna unica al mondo. Qualcuno potrebbe obiettare che in una città pullulante di mosaici "veri", un museo del mosaico potrebbe apparire un di più. Sbagliato. TAMO servirà proprio per conoscere e capire meglio i mosaici disseminati per Ravenna, e per conoscere e capire meglio l'intera civiltà del mosaico, dalla antichità ai nostri giorni. TAMO servirà a farci amare i mosaici.
Prima di visitarlo, vediamo i dati in sintesi: il museo è ubicato nella chiesa di San Nicolò, è curato da un insigne medievista come Carlo Bertelli, è stato allestito dall'architetto Paolo Bolzani e realizzato da Elsa Signorino, presidente della Fondazione RavennAntica. Il suo scopo è quello di spiegare con semplicità e chiarezza che cosa è stato e che cos'è un mosaico, di che cosa e come è fatto, e che cosa si deve fare per conservarlo al meglio. E tutto ciò attraverso strabilianti pezzi originali, riproduzioni di capolavori celebri, totem, filmati e multimedialità d'ultimissima generazione. «Imparare, innamorarsi e divertirsi»: questa la mission di TAMO.
Il viaggio dell'«innamoramento» è scandito da sei tappe. Si parte subito coi piedi per terra: la prima sezione è dedicata ai «Pavimenta». Qui, attraverso originali e copie, apprendiamo la storia, la geografia e le tipologie dei pavimenti antichi dal IV secolo a.C. al XII secolo d.C., andando da Ravenna alla Macedonia, da Aquileia a Roma passando per Venezia. Qui, impariamo a districarci tra gli strati dei sottofondi (dallo statuminatio al rudus, dal nucleus al sovranucleus), per giungere ad ammirare le tesserae, da quelle piccolissime che servivano per realizzare gli illusionistici «pavimenti non spazzati» a quelle più grandi, in marmo, che componevano l'opus sectile.
La seconda sezione (intitolata «Ecclesiam, Palatium») ci fa decisamente alzare lo sguardo verso i mosaici che decoravano pareti e volte di chiese ed edifici regali. I reperti della Basilica di San Severo e del Palatium di Teodorico sono molto eloquenti, così come lo è la riproduzione della Battaglia di Isso, il più famoso dei mosaici pompeiani. Nella terza sezione («Domus, Palatium») entriamo invece nelle case antiche, per ammirare ciò che resta delle «Domus dei tappeti di Pietra» o delle «Domus dell'antica Faventia» (ovvero l'attuale Faenza).
Le tessere sono l'essenza del mosaico. La quarta sezione («Aurum»), dedicata a materiali, tecniche e strumenti, ci porta a scoprirne i segreti. Apprendiamo che venivano prodotte con vari materiali frantumati a colpi di martelletto, quindi avevano misure e spessori del tutto casuali e irregolari. Stava all'abilità del mosaicista di posizionarle efficacemente sulla malta fresca, spesso inclinandole per cogliere al meglio il riverbero della luce. In questa sezione – ubicata nell'abside di San Nicolò – è esposto un interessante campionario di tessere provenienti dall'ottocentesca fornace di Angelo Orsoni di Venezia, storica azienda tutt'ora in attività che ha legato il suo nome a imprese celebri come la decorazione musiva dell'Opéra e del Sacro Cuore di Parigi, della Cattedrale di San Paolo a Londra e della Sagrada Familia di Barcellona. Oltre alle tessere, per fare i mosaici erano indispensabili cartoni dipinti a colori vivaci che servivano ai mosaicisti come guida per riprodurre le immagini su muri e volte. Ma chi inventò questa «pittura di pietra»? Non lo sa nessuno, ma il museo ci lascia intuire che l'utilizzo decorativo di piccoli ciottoli raccolti sui greti dei fiumi rappresenta il primo vagito della vita dei mosaici. In questa sezione incontriamo anche la bottega di un mosaicista ricostruita con "ferri del mestiere" autentici, provenienti dall'Istituto per il Mosaico Severini di Ravenna: lo sgabello, il cavalletto, la tagliola, la tranciatrice, la martellina, la pinza, i casellari, le piastre e le piastrine.
Eccoci nella quinta sezione («Eternità e storia») caratterizzata dagli spettacolari calchi dei mosaici di Santa Maria Maggiore a Roma, realizzati nel 1929 calcando in gesso le superfici e dipingendo le tessere (una per una!) seguendo i colori originali. La sesta e ultima sezione si chiama, non a caso, «Panorama». Il visitatore è invitato a salire su un grande soppalco per ammirare dall'alto, in un unico colpo d'occhio, l'intero museo. Ebbene, uscire dal TAMO senza essersi innamorati dei mosaici è praticamente impossibile. Chi non lo fa, ha davvero un cuore di pietra. Come i mosaici.
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tamo. tutta l'avventura del mosaico Ravenna, San Nicolò, via Rondinelli 2 Info: www.tamoravenna.it; tel. 0544.213371

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