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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 08:18.

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Una delle prove più tangibili di come e come rapidamente Dante sia stato riconosciuto sommo poeta e poeta nazionale, si può trovare nell'immediato fiorire di commenti alla Commedia in ogni parte d'Italia. Ai molti fiorentini e toscani si affiancano i bergamaschi Alberico da Rosciate e Guiniforte Barzizza, Benvenuto Rambaldi da Imola, il nobile Bosone da Gubbio, l'ecclesiastico riminese Giovanni Bertoldo da Serravalle, il nobile napoletano Guglielmo Maramauro, il bolognese Iacomo della Lana, il notaio ravennate Menghino Mezzani, l'umanista padovano Niccolò Lelio Cosmico... Tutto un concerto intonato si alza all'unisono dalla penisola, stupefatto di tanta grandezza e ricchezza di poesia e di scienza, di fantasia e di morale di quest'ometto «col volto lungo e il naso aquilino, alquanto curvo e gli occhi anzi grossi che piccoli, e il color bruno, e i capelli e la barba crespi e neri, e sempre malinconico e pensoso», secondo il ritratto che ne fa uno di loro, Giovanni Boccaccio.


I loro nomi sono inscritti solo nella cucina della letteratura e si perdono rapidamente nella memoria degli studenti liceali dopo che li hanno incontrati talvolta in nota nella Divina Commedia (anche questo sublime epiteto è un omaggio boccaccesco). Ma l'imponenza e l'importanza di questi lavori ininterrotti ha ispirato un'iniziativa donchisciottesca eppure ormai fuori dal sogno del Centro di studi Pio Rajna: la pubblicazione dell'intero corpus dei commenti sulla Divina Commedia dal Trecento al Duemila. Dieci anni fa inauguravano la serie le cosiddette Chiose Filippine di un codice di metà Trecento ch'è tutto un accavallarsi di chiose su chiose e di miniature e didascalie e critiche alle miniature, per un poema, la Comedia, che come vi si dice a un certo punto tractat universaliter de omni re. A quel primo sono seguite finora altri dieci opere, fra cui Iacomo della Lana in quattro tomi e i commenti ottocenteschi del Cesari e del Tommaseo, quindi il novecentesco di Vittorio Rossi.


Ora poi, come a delineare una prima mappa del cammino, escono i due tomi descrittivi appunto di tutti i «Commentatori di tradizione manoscritta», ossia su codici fino al 1480, in totale circa 500 per 42 opere. Ognuna di esse e il suo autore sono delineate da un'agguerrita squadra di collaboratori in ampie schede informative e bibliografiche. Oltre agli accennati, vi si riscontrano altri nomi risonanti o importanti, quali Filippo Villani e l'Ottimo, i due stessi figli del poeta Jacopo e Pietro, e qualche irrequieto verseggiatore in proprio quale il Saviozzo, che a inizio Quattrocento affianca al proprio canzoniere amoroso un capitolo Come per dritta linea l'occhio al sole ove espone la vita di Dante e la trama della Commedia, usando anche nelle sue terzine formule dantesche.


Le informazioni fornite dalle schede, tutte puntualissime, permettono ogni sorta di riflessione e appagano ogni curiosità. La ricchezza anche narrativa del commento in latino all'intera Commedia (in latino perché «molto più diffuso e conosciuto del volgare») di Alberico da Rosciate si fonda su una ricchissima biblioteca di classici antichi e di storie, romanzi, trattati medievali. Grande familiarità con i latini, soprattutto gli storici, mostra anche l'antichissimo anonimo autore del cosiddetto Ottimo commento (siamo all'incirca nel 1335, e costui ha conosciuto di persona e familiarmente Dante). Quanto all'altrettanto famoso e accennato Jacomo della Lana, il primo commentatore in volgare delle tre cantiche per esteso fra il 1324 e il 1328 (Dante è morto da appena tre anni), è nelle sue parafrasi un patrimonio di divagazioni e raccontini più o meno attendibili: quello qui accennato per il Paradiso, canto IV verso 84, di Muzio Scevola è una perla imperdibile; l'antico eroe romano, a detta di Jacomo, mette la mano sul fuoco non davanti a Tarquinio il Superbo ma cinque secoli dopo, davanti a Giulio Cesare ch'egli non è riuscito a uccidere, e che al vederlo compiere il celebre gesto esclama: «Fa' quello che te piase». Molti di questi autori, soprattutto i più grandi, hanno una loro linea, un loro interesse, un loro proprio bagaglio interpretativo; si pongono nella scia della tradizione esegetica medievale e coltivano un loro spazio. Ma, a non dire di quanto s'è saputo e imparato da questi antichi così vicini al poeta, quanto essi non ci dicono della sua stessa cultura e di quella del suo tempo.


Un altro capitolo da illustrare di questa vicenda sarebbe il come la presente edizione dei commenti danteschi si avviò e sviluppò, come si sta concretando, quali furono e sono gli scogli in cui anch'essa incappa, alcuni prevedibili e comuni a imprese del genere, altri meno. Ne rende conto vibratamente e dettagliatamente Enrico Malato nella Premessa ai due tomi. Mentre la successiva Nota introduttiva, di Andrea Mazzucchi, traccia l'arco di questo «dialogo tra la Commedia e i suoi lettori concreti», depositato da essi per secoli sui margini dei loro libri in varie forme, in varie misure, con varia sistematicità ma con un trasporto e un impegno da sé soli significativi.


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