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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2011 alle ore 08:37.

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Hilda è il testo di Marie Ndiaye che chiude a Milano la rassegna di drammaturgia francese e francofona "Face à face". Si tratta di una tesa partitura dialogica che mette a confronto classi sociali e identità di genere nella Francia contemporanea. Quindi: nella Francia postmoderna.
Hilda è solo all'apparenza un testo politico, almeno nell'accezione di teatro civile e sociale che il termine ha preso in Italia: una borghesia che non ha più nemmeno l'antifrasi del fascino discreto, una classe proletaria disincantata che non è mai andata in Paradiso.

In scena una giovane e ricca signora di provincia che decide di – letteralmente – acquistare il tempo, le cure e l'esistenza tutta della sua giovane donna di servizio, Hilda.

L'accordo avviene tra il marito della cameriera, Franck, e la ricca borghese: Hilda non comparirà mai, tagliata fuori da subito dalla trattativa che la riguarda, messa da parte fino all'abbandono nella spietata partita senza esclusione di colpi tra i due.

Un match che si concluderà con il sacrificio della sola Hilda: abbandonata dal marito che ne ha sofferto l'allontanamento per via del morboso attaccamento da parte della ricca signora, e ricusata da quest'ultima, che ne ha prosciugato le energie vitali.

Né politico, né contemporaneo: postmoderno, piuttosto, post-migratorio (Hilda è francese, e la sua sottomissione è esistenziale, non dovuta – per esempio - alla condizione di ricattabilità di un clandestino).

Quello che il testo della scrittrice franco-senegalese Ndiaye sottolinea è una sconfitta collettiva declinata evidenziando la singolarità dei personaggi: la borghesia radical-chic è solo una parodia della borghesia illuminata e illuminista, è una gauche caviar di parvenus senza apparato intellettuale e ideale, a cui resta, eventualmente, un po' di eco di ideologia.

Idelologia della quale non rimane neppure un sussulto all'amara caricatura del proletario rappresentata da Franck.
La regia di Renzo Martinelli, essenziale e attenta al "suono interiore" della drammaturgia e dei personaggi, sposta proprio su di loro l'attenzione, sospendendo il tempo e circoscrivendo lo spazio, e scarnificando, e straniando.

Il dramma di Ndiaye cita e vuole lasciarsi alle spalle tutta l'esperienza del teatro dell'assurdo del Novecento: Hilda, come Godot, non arriva mai e, come ne L'amante di Pinter, non siamo mai certi dei ruoli della macabra partita che i protagonisti stanno giocando. Anche in questo appare postmoderno.

Hilda esiste veramente? Chi è garante della nostra identità e della nostra esistenza? Gli altri, il loro sguardo? Siamo in loro balia nella nostra frammentazione identitaria? Non è dunque un caso che lo spettatore non veda mai Hilda...

Il dubbio esistenziale è ben inoculato dai tre attori in scena: la consueta, impeccabile, Federica Fracassi; Alberto Astorri bravo e misurato al di fuori dei suoi canoni abituali; Francesca Garolla, alla consolle dj che mixa brani pop della tradizione italiana rivisitati, da Mina ai DeltaV passando per Marlene Kuntz.

Hilda di Marie Ndiaye, traduzione Giulia Serafini
con Federica Fracassi, Alberto Astorri, Francesca Garolla
Al Teatro I di Milano fino al 12 giugno.

Info: www. Teatroi.org

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