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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2011 alle ore 08:36.
La grande area circolare è ricoperta di materiale riflettente. Ad evocare il mare. Al centro un'isola nera stilizzata per "Filottete"; e le prue di due relitti di nave per "Andromaca". Una enorme muro frontale con i titoli in greco delle due opere, chiude la vista della vasta cavea dell'antico teatro sempre gremito di spettatori.
Scelta felice della Fondazione INDA di Siracusa aver optato, quest'anno, per due tragedie poco frequentate, accomunate dall'essere figure di sofferente emarginazione, entrambe della grande saga troiana, con, sullo sfondo, la guerra. Ormai finita, per Euripide, nella vicenda della prima; in corso, per Sofocle, nella seconda. Di sorprendente attualità nel "Filottete" riecheggiano i grandi temi della vita umana: la sofferenza della malattia, la solitudine, l'incomunicabilità, la prepotenza del potere, la mortificazione degli innocenti.
Il suo mito ha attraversato la storia e i secoli. Se ne sono impossessati nel Novecento scrittori come André Gide, Heiner Müller, Yannis Ritsos. Gide ne fece un testo struggente sulla solitudine, non solo concettuale ma fisica e poetica. Ritsos lo collocò in un eremo a sognare Neottolemo e Ulisse venuti a cercare le sue armi e visti come allucinazioni. La lettura sanguigna di Müller, invece, metteva a nudo un paradigma della violenza continuamente allusivo della tragica esperienza stalinista e della sua Germania: un atto d'accusa a tutte le guerre. Le frequenti riesumazioni dell'eroe mancato di Troia si devono a un'emblematizzazione della sua immagine. Da personaggio mitico abbandonato a causa di una malattia repellente, a intellettuale emarginato dalla sua diversità e quindi in grado di razionalizzare la barbarica realtà militare, come una colomba tra i falchi. Filottete è la vittima fetida e cenciosa dell'ambigua alleanza tra Ulisse e Neottolemo, tra il cinismo della ragion di stato e l'obbedienza infingarda di chi si consegna al potere.
Scritto da un Sofocle novantenne vicino alla morte, Filottete è il rabbioso misantropo lasciato sulla desertica isola di Lemno dai suoi impietosi compagni durante la rotta verso Troia a causa di una ferita al piede misteriosamente infertagli dal morso di un serpente. La piaga lo ha reso inabile alla lotta e indegno per il fetore della putrefazione. Ma negli anni di isolamento l'eroe ha appreso la saggezza. Verrà a conoscenza di una profezia che ha stabilito che senza di lui e del suo arco, i greci, non potranno conquistare Troia. Dopo dieci anni d'assedio, a riprenderlo – e qui inizia la tragedia sofoclea – viene mandato lo stesso Odisseo, il più infame tra i compagni, che lo fece abbandonare. Egli si fa precedere, per convincere con l'inganno il vecchio a dimenticare il torto subito e riportarlo nell'esercito greco, dal giovanissimo e dedito Neottolemo, figlio del defunto Achille. La delicata trattativa si risolve in duro scontro, cui solo l'intervento di Eracle, deus ex machina, metterà fine. In ultimo il giovane, onesto e puro, Neottolemo, rifiuterà l'imbroglio e, impossessatosi dell'arco fatale, lo restituirà a Filottete: per fuggire con lui, se non fosse che, per le perfide trame di Odisseo, entrambi dovranno raggiungere Troia.
Se Odisseo è condotto dalla ragion di stato, Filottete crede nella libertà dell'individuo e nella superiorità dell'essere umano. Per Sofocle, infatti, l'amicizia è ancora possibile e un valore è la moralità degli uomini. Neottolemo, che era venuto per impossessarsi dell'arco, compie un vero e proprio viaggio iniziatico, imparando da Filottete "cos'è la virtù", e da quell'incontro-scontro trae una lezione morale. Conferisce al personaggio il progressivo travaglio della coscienza e dell'animo l'ottimo Massimo Nicolini; mentre il protagonista trova nell'interpretazione di Sebastiano Lo Monaco un'altisonante voce ma dai prevedibili toni enfatici e dalle pose retoriche. Il regista Gianpiero Borgia ha conferito alla messinscena un andamento dinamico, pur nella staticità della vicenda tutta di dialoghi e tutta al maschile. Il Coro di marinai con costumi, armi, ed elmi bianchi, si muovono, declamano e cantano sottolineando le azioni dei personaggi. Fungono da cassa di risonanza emotiva preparando e accompagnando gli snodi cruciali di una vicenda che, ancora oggi, avvince.
"Filottete" di Sofocle, traduzione di Giovanni Cerri, regia Gianpiero Borgia, scene e costumi Maurizio Balò, musiche Papaceccio, Francesco Santalucia. Al teatro greco di Siracusa, a sere alterne con "Andromaca", fino al 23 giugno.
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