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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2011 alle ore 08:21.

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«Poi che non scorgo via d'uscita / Nel lume di questa vita // In te rifugio il triste orgoglio / Spessore di questo foglio // E nella mente mi assottiglio / Microbo figlio di figlia d'un figlio» (Aspirazioni): così, fatto sottile sino alla consunzione, ha adempiuto il suo testamento in versi Giovanni Giudici, spirato nella notte fra il 23 e il 24 maggio, dopo un lungo doloroso silenzio nel quale aveva raccolto e inverato il suo sguardo, mite e rassegnato: «Dove di noi sorride e sta / La minima tua verità».
La sua ultima raccolta di poesie Da una soglia infinita (2004), curata dai suoi amici più vicini (Eugenio ed Evelina De Signoribus, Carlo Di Alesio, Rodolfo Zucco) sussurra nel minimo il «Balbettato barbaglio di aldilà» che ha continuamente ispirato il suo comporre e il suo vivere: «Fa come se potessi / Vedermi – qui all'estrema / Abitazione della vita / Seduto sulla soglia tra la stanza / Dove già m'illudevo / Di perseguire un'opera di suoni» (Di un come se). Il «Meridiano» delle sue poesie, I versi della vita (2000), è la più alta ricapitolazione dei secoli della creazione in versi che si possa affidare alle giovani generazioni: assume e vivifica la tradizione occidentale, dai provenzali, rinati in Salutz (1986), a Guido Cavalcanti e allo stilnovo, riscritti in Ognuno quasi ognuno («Ognuno quasi ognuno egli diceva / Cresce in sé una laura una mandetta / Della mente imperfetta / Speranza inassuvita»), al Paradiso di Dante proposto in azione scenica: Perché mi vinse il lume d'esta stella (1991), agli Esercizi spirituali di Loyola tradotti nel 1984 e che s'intrecciano con la composizione di due dei suoi più ispirati volumi di poesia: Lume dei tuoi misteri (1984) e Fortezza (1990). Insieme è testimone di tutto ciò che il Novecento ha sofferto, attraversato, perso o redento: la guerra, la viltà del fascismo, l'epopea dell'industria, l'engagement e il tradimento degli intellettuali, le migrazioni e le loro periferie, L'educazione cattolica e il teatro del nulla che ci agita, tendendo gesti «Al Senzafondo al nome Morte / che ha per compagna Follìa» (Via Stilicone).
Ha sempre auscultato le vibrazioni del presente, in quei minimi segni che già sono – per chi sappia vedere – varco di un'epoca, come il congedarci – abbandonato il segnale sos – da un secolo di suppliche: «Salvate le nostre anime / Indi e quindi il segnale / Passando senza nessuna / In lingua viva risposta – // Chioccolìo del morto auricolare / Ai bordi del disastro / Durando a quelle il nerissimo / Lontanarsi come nei mari della Luna» (Save Our Souls).
Più ancora, oso suggerire, è stato l'ultimo grande poeta della tradizione cristiana, assunta, macerata, contestata, amata ereticamente, fedelmente riscritta, sino a quella commossa sintesi che ne è – in Quanto spera di campare Giovanni – coronamento: «Ma non guasti fiacca fede / L'incompiuta sua misura: / Se Gesù non è risorto / Siamo cenere e impostura» (Imperfezioni liturgiche).
Lo festeggiammo a Parigi, al Collège de France, nell'aprile 2002: esausto dal viaggio eppur pronto al "ma cosa vuoi che sia..." di tanti suoi versi e del suo stile di vita, conscio sempre che altro non siamo che briciole del Nulla: «Vanno spiriti e pregheremo – / Ich bin eine Besonderheit des Nichts / Mein Gott / Mein Tod» (Orazione).
Non è stato ardito fabbricatore d'eterno come Gerard Manley Hopkins: ma ha limato il quotidiano sino alla sua nudità, alla più dimessa "confessione" di vita: «Nelle sole parole che ricordo / di mia madre – che "Dio / – diceva – è in cielo in terra / e in ogni luogo» – la gutturale gh // disinvolta intaccava il luò d'un l'uovo / contro il bordo d'un piatto / – serenamente dopo in cielo in terra / dal guscio separato in due metà // scodellava sul fondo il tuorlo intatto / – la madre sconosciuta parlava / religione entrava / nella mia tenera età» (Nelle sole parole che ricordo).
Con Giovanni Giudici scompare gran parte di noi, di quelli che hanno creduto che natura e tempo fossero un dono, e che poco altro restasse, qui, che non pesare sulla terra: «Intanto fu il suo respiro più lieve / Un velo il volto e bianco più che la neve» (Exitus).
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