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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2011 alle ore 17:23.

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La cosa che più colpisce del libro di David Kirkpatrick - in vendita da questa settimana in Italia - è la quantità di testimonianze e incontri che lo hanno portato "dentro" Facebook. Leggendo «Facebook, la storia», edito da Hoepli (il titolo originale era «Facebook effect» e negli Stati Uniti ha fatto molto parlare di sè), sembra di essere lì, insieme al fondatore Mark Zuckerberg sui banchi di Harvard, oppure nelle lussuose stanze dei venture capitalist che cercano di mettere le mani su un sito che si diffonde velocissimo tra le università americane e che oggi conta 600 milioni di iscritti e sta valutando la quotazione a Wall Street.

I punti in comune con il film di successo «The Social Network», di David Fincher, sono molti. Però è diverso il ritratto di Zuckerberg: «Non è assolutamente come viene descritto nel film - spiega al Sole24ore.com Kirkpatrick -. Non è così asociale, non ha problemi con le ragazze. È soprattutto un grande visionario, un grande leader. Nel suo staff è molto rispettato».

Il giornalista, ex senior editor di Fortune, ha incontrato la prima volta Zuckerberg agli inizi di quella che è la più incredibile storia imprenditoriale degli ultimi dieci anni (forse di più). Da lì è rimasto folgorato. L'ha incontrato più volte - oggi lo definisce «un amico» - e non si è perso uno dei suoi passi.

«Il segreto del successo di Facebook - continua - è che funziona come il mondo reale. È stato concepito per intensificare le relazioni tra chi già si conosce. Su Facebook siamo noi stessi, l'anonimato non premia». Il genio di Zuckerberg, emerge dal libro, è stata la tenacia di credere in un'idea. La fortuna e l'audacia di contornarsi di giovani - raramente nel libro viene nominato qualcuno con più di 28 anni - ambiziosi e di talento.

C'è il sogno americano nel cuore della California. Zuckerberg che fonda Facemash a 20 anni. Il Crimson di Harvard segue dall'inizio il successo del sito, dal quale poi, con molte differenze, nascerà Facebook. Amelia Lester, sua coetanea, scrive diversi articoli sul giornale dell'università. Oggi è direttore editoriale del New Yorker. L'incontro decisivo è con Sean Parker, tra i fondatori di Napster, anche lui poco più che ventenne. Introduce Zuckerberg agli investori della Silicon Valley, è un giovane tosto, conduce trattative spregiudicate con successo. Quando Facebook (anzi, "Thefacebook", perchè si chiamava ancora così) decide di assumere, per qualche settimana recluta il programmatore Steve Chen. Se ne va dopo poche settimane. «Te ne pentirai», gli dicono. Ma decide di seguire quella idea sui video online. Che poi si chiamerà YouTube.

Il libro è un po' tutto così, racconta storie di ragazzi diventati grandi senza accorgesene, di successo forse proprio per questo motivo. Si divertono a prendere in giro investitori blasonati, hanno lo humor tipico dei geek e la supponenza dei giovani di Harvard. Supponenti al punto di abbandonare gli studi: «Perchè studiare quando le cose le puoi fare?», dice Zuckerberg. Nei momenti decisivi emerge l'anima del fondatore di Facebook: ossessione per l'usabilità del sito, visione di lungo periodo e avversione per la pubblicità quando questa può peggiorare l'esperienza dell'utente.

Il libro dedica un capitolo alla vicenda più delicata, ovvero la gestione della privacy. Tema che accompagna il social network dal primo giorno, quando ancora si chiamava Facemash. Emerge chiara la visione della "trasparenza assoluta" invocata da Zuckerberg, un'idea in effetti un po' angosciante e non condivisa da tutti i manager dell'azienda di Palo Alto (Sheryl Sandberg, oggi brillante Coo di Facebook dopo un passato a Google, ha un'idea diversa).

La corsa del sito di social network continuerà? «Credo di sì - risponde Kirkpatrick - ha raggiunto una grandezza di scala che rende difficile l'arrivo di un concorrente: vorrebbe dire spostare foto, informazioni e contatti. Con Open Graph, Facebook è uscito dai suoi confini e ha abbracciato tutta la rete. L'unico rischio che vedo all'orizzonte è l'eventuale arrivo di normative molto rigide da parte dei Governi. Ne renderebbero impossibile l'utilizzo».

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