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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2011 alle ore 08:22.

Artisti d'Italia. «Gli immortali»: 800 ritratti dei guerrieri di Serse ad opera di Filippo MartinezArtisti d'Italia. «Gli immortali»: 800 ritratti dei guerrieri di Serse ad opera di Filippo Martinez

Il padiglione italiano di Vittorio Sgarbi all'Arsenale è riuscito (soltanto) nell'intento del suo curatore: far parlare di sé. Perlopiù male, anzi malissimo. Prima ancora che aprisse, si sono indignati gli addetti ai lavori, specializzati nel contemporaneo, che con piccoli budget si dedicano alla ricerca sulla scena artistica italiana e sui suoi faticosi collegamenti con quella internazionale.


Poi, con ritardo tipico sgarbiano (alcune convocazioni agli artisti sono arrivate in aprile, altre in maggio, le ultime in settimana), il padiglione ha cominciato a prender forma in seimila metri quadri, in un allestimento impossibile affidato a Benedetta Tagliabue. Impossibile perché gli artisti presenti sono 270 nel momento in cui scriviamo, ma destinati ad aumentare: lo scopo sarebbe «documentare lo stato dell'arte italiana contemporanea» e il curatore non cessa di aggiungere pezzi, che vengano da sue scoperte tra gli studenti delle accademie o da ripensamenti dell'ultimo minuto.


Il meccanismo è questo: Sgarbi ha convocato 200 intellettuali e a ognuno ha chiesto di segnalare un autore. Metodo discutibile, visto che anche in Italia la pratica curatoriale non ha più la fisionomia vaga di un tempo, ma che aveva il vantaggio di affidarsi non ai gusti personali di Sgarbi bensì a un'orchestra di selezionatori.

L'elenco va dal filosofo Giorgio Agamben a Vladimir Luxuria, si fregia di nomi come Emanuele Severino, Gillo Dorfles, Tahar Ben Jelloun, Dario Fo, Piergiorgio Odifreddi, Salvatore Settis, Andrée Ruth Shammah, Giulio Giorello, Norman Foster, Hanif Kureishi. Molte scelte però sono state dichiaratamente pilotate, altre sono frutto di uno scambio di cortesie, perciò compaiono la moglie di questo e il figlio di quello e il sospetto rischia di contagiare anche gli autori che hanno meritato la convocazione, e soffrono questa Biennale come un'occasione sprecata, per non dire di peggio.

Quando poi le opere sono giunte in laguna, c'è chi ha dovuto segar via un pezzo di scultura per incastrarla nello spazio destinatogli, mentre altri non hanno rispettato la consegna sulle dimensioni massime, 3 metri e mezzo, e presentano installazioni monumentali; c'è chi si è ritrovato appeso a sette metri d'altezza, e chi invece si è visto mutilare un trittico.
Nessuno di loro ci fa gran pena, la partecipazione alla Biennale di Venezia resterà nel loro curriculum anche quando (presto) di questo padiglione non si parlerà più, e hanno anche la soddisfazione di lamentarsi un po'.

La sostanza però non cambia: Sgarbi sostiene di voler democratizzare il mondo dell'arte scardinandone le cricche, i clan, uscendo dai circuiti dei soliti noti, e ha intitolato il padiglione «L'arte non è cosa nostra», aggiungendovi il Museo della Mafia ideato per Salemi. Si inalbera quando sente definire «artisti della domenica» alcuni dei presenti, perché «l'arte dev'essere di tutti e per tutti», ma lui stesso confessa che ne avrebbe scelti meno di un terzo, e qualcuno potrebbe al massimo essere piazzato in un bagno.

La prima riflessione da fare riguarda dunque il rispetto che l'opera d'arte merita. Qui, affastellate da rasoterra fino al soffitto, una davanti all'altra, una dietro l'altra, una sopra l'altra, in un continuo incidente mortale fra stili, tavolozze, dimensioni, le opere non sono affatto valorizzate (quelle che un valore ce l'hanno, e qualcuna c'è) ma mortificate, e impossibili da metabolizzare.

La seconda questione è ugualmente seria, e riguarda la frattura che evidentemente esiste tra il nostro establishment culturale e il mondo dell'arte contemporanea, i suoi dibattiti, le sue sperimentazioni, una cesura che in questa quadreria è più visibile che mai.

Siamo alla fine dell'articolo e ancora non abbiamo scritto chi sono gli artisti in mostra? Potremmo fare quel che farà l'audioguida del padiglione, che citerà solo 70 opere su 270, sorteggiandole. Ma preferiamo di no. L'elenco completo, se mai ci sarà, sarà leggibile sul sito del ministero dei Beni culturali.

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