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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2011 alle ore 08:20.

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In occasione del giubileo dell'anno 2000 papa Giovanni Paolo II volle invocare il perdono divino sulle responsabilità della Chiesa negli orrori dell'antisemitismo, del razzismo, dello schiavismo, dell'intolleranza, della coercizione in materia di fede. Nel definire la libertà di coscienza un diritto inviolabile, del resto, il concilio Vaticano II aveva compiuto una svolta radicale rispetto al passato, tale da investire gli stessi presupposti che nel 1542 avevano dato vita all'Inquisizione romana, con cui Paolo III aveva cercato di trasferire nella lotta contro l'eresia luterana la capillare opera di controllo e repressione delle Inquisizioni spagnola e portoghese contro gli ebrei. Sin dalle origini quell'occhiuto tribunale della fede aveva saputo conquistare un potere enorme ai vertici della Chiesa, nel definirne il magistero dottrinale e morale, nell'indirizzarne le scelte politiche e pastorali, nel selezionarne la gerarchia.
Per secoli nei suoi archivi si andò accumulando una straordinaria documentazione su tutte le forme di dissenso religioso manifestatesi in Italia (alla quale di fatto si limitò la sua giurisdizione): eretici e libertini, stregoni e fattucchiere, filosofi e scienziati, preti lascivi e monache bramose di santità, mistici e modernisti, Galileo Galilei e padre Pio da Pietralcina per fare solo due nomi. Archivi tanto più preziosi in quanto custodi di voci ridotte al silenzio, anche se gravemente impoveriti dalla distruzione di migliaia di faldoni processuali all'inizio del l'800, e comunque restati inaccessibili agli studiosi fino all'apertura decretata dalla santa sede nel 1998: un passo necessario per rendere poi credibile il pentimento giubilare annunciato al mondo da papa Wojtyla due anni dopo. Tale arcigno segreto sulla propria documentazione storica ha alimentato per secoli tenaci convinzioni sulle violenze e i soprusi perpetrati da quel tribunale, poi smentite dallo studio delle fonti, che riflettono piuttosto l'efficienza di una macchina burocratica via via radicatasi sul territorio. Il che ha tuttavia comportato il rischio di sostituire alla leggenda nera delle efferatezze inquisitoriali una leggenda bianca che, nell'insistere sul rispetto delle procedure da parte di giudici convinti di agire per l'eterna salvezza dei rei, finisce con il perdere di vista la natura stessa di un'autorità coercitiva fondata sul primato dell'ortodossia teologica. Nel momento in cui il concilio di Trento elevava il magistero della Chiesa a fonte della Rivelazione al pari della Bibbia, il ruolo di supremo tutore delle verità di fede affidato al Sant'Ufficio spiega invece il rapido dilatarsi delle sue competenze dalla teologia alla filosofia, alla scienza, alla letteratura, ai modelli di santità, alla devozione popolare, ai fenomeni di misticismo, alle pratiche magiche e stregonesche, alle manifestazioni di incredulità e così via. Ne scaturì anche il rapido estendersi delle sue competenze al controllo preventivo della circolazione delle idee, fino a sdoppiarsi nella congregazione dell'Indice dei libri proibiti, istituita nel 1571.
Un'intera generazione di studiosi si è misurata con questi problemi, che in Spagna e in Portogallo si sono intrecciati anche con l'esigenza di ridefinire il proprio passato dopo il torpore di lunghe dittature. Sollecitate anche dalla disponibilità di nuove fonti, le ricerche su questi problemi apparse negli ultimi decenni non si contano e un primo bilancio può essere tentato. È ciò che consente di fare il monumentale Dizionario dell'Inquisizione progettato e diretto da Adriano Prosperi, il più autorevole studioso in materia, con la collaborazione di John Tedeschi e Vincenzo Lavenia: poco meno di 1.500 voci, quasi 400 collaboratori di ogni parte del mondo, 3.000 fitte colonne, 4 volumi, presentati dalla Scuola normale superiore di Pisa in una sontuosa veste tipografica.
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Un'opera coraggiosa nel suo intento di «fornire in forma di dizionario uno strumento di informazione ricco ed esauriente» su tutti i tribunali inquisitoriali, italiani, portoghesi e spagnoli, dall'origine al l'abolizione, non solo sul continente europeo ma anche nelle colonie americane e asiatiche, dal Messico a Goa, dal Perù a Malta.Un'opera senza dubbio per specialisti, che vi potranno trovare profili biografici di inquisitori e inquisiti, di grandi filosofi e oscuri funzionari, e voci su città sede di tribunali periferici, procedure processuali, dottrine teologiche, correnti di pensiero, ma anche su una miriade di temi scaturiti da quel dilatarsi dell'azione del Sant'Ufficio cui si è accennato, fino a investire molteplici aspetti della sensibilità e della pratica religiosa che coinvolgevano la vita quotidiana di tutti e si radicavano in profondità nel tessuto sociale. Non solo dunque un pur poderoso repertorio di informazioni, ma una cornucopia ricchissima di fatti, problemi, idee, prospettive, spunti per ulteriori approfondimenti in chiave diacronica o geografica, istituzionale o storiografica, biografica o tematica, che giungono fino al giorno d'oggi. Ma questo, forse, è anche il problema più difficile e delicato che il Dizionario ha dovuto affrontare. Nell'età moderna e contemporanea, infatti, la storia dell'Inquisizione ha coinciso a tal punto con quella dell'istituzione ecclesiastica, che alla fin fine risulta difficile isolare uno specifico "campo inquisitoriale". Tutto o quasi tutto è passato per le stanze del Sant'Ufficio negli ultimi secoli della Chiesa di Roma, da Gian Pietro Carafa diventato papa Paolo IV fino a Joseph Ratzinger, a lungo preposto alla congregazione per la dottrina della fede prima dell'elezione a sommo pontefice. Era stato Paolo VI a ribattezzare così quel potente dicastero, segno evidente di qualche imbarazzo per gli sgradevoli fantasmi evocati dall'Inquisizione, che già all'inizio del secolo scorso avevano indotto Pio X a cancellarne il nome dalle istituzioni vaticane, sostituendolo con quello di Sant'Uffizio. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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