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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2011 alle ore 14:29.

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Non è un romanzo, anche se le vite in esso narrate sia pure in pochi tratti ne hanno lo spessore; non è un saggio sul Novecento, anche se luoghi descritti e storie esprimono la drammatica densità del secolo che ha messo a soqquadro i destini del mondo; non è un luogo di memorie, anche se i ricordi sono il motivo conduttore, lo spazio entro il quale gli uomini continuano a esistere anche dopo la morte.

Czeslaw Milosz, protagonista della letteratura del Novecento e premio Nobel nel 1980, sceglie la forma dell'abbecedario per consegnare il racconto della lunga stagione della sua esistenza (nato nel 1911 a Szetejnie, in Lituania, è morto nel 2004). Del libro dell'abc l'autore rispetta il carattere profondamente egalitario, come il Pinocchio di Collodi che "col suo abbecedario nuovo sotto il braccio prese la strada che menava a scuola".

Accanto agli amati Walt Whitman, Schopenhauer e Brodskij, accanto a Dostoevskij e Hopper, diventati celebri e che figurano nelle enciclopedie, ci sono i dimenticati, donne e uomini valenti che devono spesso la minore fama a un accidente della storia, per essere nati nel momento sbagliato e nel luogo sbagliato:
"… possono approfittare soltanto di me, del ritmo del mio sangue, della mia mano che regge la penna per ritornare per un attimo tra i vivi". Così i luoghi frequentati e descritti da Milosz non rispondono a requisiti assoluti di fama, ma sono scoperte che lasciano un segno interiore, una traccia del controverso rapporto raccontato alla parola Natura "… ho conosciuto il fascino della visione sentimentale e romantica della natura. In seguito, però, non ne è rimasta traccia. Al contrario, la natura mi è apparsa come sofferenza. Eppure la natura è bella, non c'è nulla da fare".

Tutto ciò fa di Abbecedario un affascinante itinerario di vita che riguarda tutti noi e non solo gli addetti ai lavori e coloro che hanno dimestichezza con i volti e i profili dei letterati e agenti del sapere di cui pure sono fitte le pagine del libro. Con Milosz ripercorriamo in una galleria l'intero Novecento. Personaggi e luoghi, s'è detto, ma anche le grandi parole che hanno caratterizzato il secolo scorso che è per molti di noi il nostro secolo: ambizione, ammirazione, autenticità, doveri, economia, numeri, odio, paura, pregiudizi, sapere, soldi, sventura, tempo, verità. A proposito, in ognuna di queste voci non ci sono Verità da scoprire, ma testimonianze. Scrivendo del tempo Milosz confessa: "Sono ricolmo della memoria di persone vissute e poi scomparse e ne scrivo con la consapevolezza che fra un istante neanche io ci sarò più. Insieme siamo come una nebulosa tra le costellazioni umane del ventesimo secolo. I miei contemporanei: la nostra affinità poggia sul fatto che, sebbene in paesi e a latitudini diverse, siamo vissuti nel medesimo tempo. Ed è un'affinità più forte, in un certo senso, di qualunque legame tribale".

Una stagione, quella del Novecento, che ha fatto conoscere a Milosz grandezze e miserie, ricchezza e povertà, "stare sotto il carro e sopra il carro in un'unica vita". Tanto più per un uomo nato in un enclave del mondo che ha subìto ferite e ingiurie della barbarie nazista e poi del totalitarismo comunista, inseguito nella sue peregrinazioni non solo dai riconoscimenti (poeta, scrittore, traduttore e letterato insigne e infine premio Nobel) , ma anche dalle accuse che egli stesso rammenta alla voce odio: ": …furbo, amante della comodità, beniamino della sorte, avido di denari, indifferente alla patria rimpiazzata da una valigia, mercenario, borioso, arrogante, immorale … tale ritratto mi colpiva perché mi dipingeva come uomo forte e scaltro, mentre io conosco la mia debolezza e tendo piuttosto a considerarmi un fascio di impulsi, un bambino ubriaco nella nebbia".

Nelle pagine dedicate all'Occidente del suo Abbecedario, Milosz consegna parole profetiche alla gente del ventunesimo secolo quando ricorda l'indifferenza di fronte ai massacri in Bosnia e al fuoco quotidiano su Sarajevo e le accuse rivoltegli di incitamento alla guerra. "Un'immaginazione ristretta- osserva Milosz- rifiuta di considerare il mondo come un insieme di vasi comunicanti.. . si traccia una linea retta al centro d'Europa e si dice a se stessi che non è nel loro interesse occuparsi dei popoli poco conosciuti che vivono a est di essa".
In questo secolo nuove linee vengono tracciate, ma la sostanza dei problemi non muta: "Quando arrivai in America subito dopo la guerra- ricorda Milosz - non c'era nessuno cui potessi raccontare ciò che era accaduto in Polonia negli anni 1939-1945. Il male assoluto? Caro signore, vuole davvero che crediamo all'esistenza del diavolo?".

Abbecedario
di Czeslaw Milosz
327 pagine, 23 euro
Biblioteca Adelphi

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