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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2011 alle ore 16:27.
C'è molto da imparare dal mondo dei videogiochi: laddove lo spettro dell'obsolescenza determina un time-to-market (il tempo che intercorre tra l'ideazione e la commercializzazione) brevissimo, i prodotti devono essere pensati, testati e consegnati in fretta.
La concorrenza è spietata soprattutto nel caso dei bootleg, cioè applicativi e artefatti che sfruttano piattaforme altrui (come i vari add-on di Farmville, il social game che impazza su Facebook), piccole migliorie che per vendere e creare dipendenza devono uscire tutti i giorni, costare poco, essere originali e divertenti da usare. Per realizzare un prodotto di questo tipo serve un metodo di lavoro snello e veloce, ed è proprio agile la definizione-ombrello sotto cui si ripara il framework noto ai softwaristi come scrum, che nel gergo del rugby indica la mischia che spinge la palla in una sola direzione.
Il concetto alla sua base è infatti quello del team composto da attori con ruoli separati che però si muove come una cosa sola durante l'azione, o sprint. Patrick Charbonnier, 41enne valdostano che da Bruxelles insegna e implementa questa metodologia presso aziende belghe, francesi e italiane, spiega come funziona: «Con l'approccio classico un progetto viene diviso nelle tre fasi ³specifiche, sviluppo e testing². Questo è il modello più diffuso in tutti gli ambiti, sia che si tratti di scrittura di un software che della ideazione di una libreria. Nell'It però comporta il fallimento nell'80 per cento dei casi: il processo è sempre troppo lungo per rimanere nel budget, perché quello che il cliente chiede al momento della stipula del contratto non può riflettere quello che in realtà vuole che il programma faccia quando gli verrà consegnato».
È come quando ristrutturi una casa, continua Patrick: vai dall'architetto e gli dici di mettere un angolo cottura affacciato sul salotto del terzo piano perché pensi che sia la soluzione più allegra per le serate con gli amici. Mentre i lavori sono in corso ti viene un'ernia o ti nasce un figlio e ti rendi conto che ha molto più senso avere una cucina abitabile al piano terra. «Accade lo stesso quando si scrive un programma: se si procede con lo schema tradizionale è inevitabile che manchino delle funzioni e che ce ne siano di inutili. Molte software house vivono di questo, offrendo un prezzo di base basso e guadagnando sugli optional che si aggiungono alla fine».
Operare in modo agile significa invece farlo in modo molto più veloce (fino a cinque volte) e più organico: si parte dall'obiettivo - che assomiglia alle poche indicazioni che un comunicato stampa darebbe sul prodotto finale - anziché dal modo di raggiungerlo e, tralasciando l'infinita scrittura delle specifiche, lo si spezzetta in tanti piccoli obiettivi. Su questi, guidati da uno scrum master (una sorta di guru-mediatore), lavorano subito team di poche persone (da due a dodici) nel corso di sprint che durano dalle due alle quattro settimane.
Il team inizia ogni giornata lavorativa con uno stand-up meeting di quindici minuti che, per evitare perdite di tempo, si svolge letteralmente in piedi in un angolo anonimo dell'ufficio. Il copione è il seguente: ciascun membro dice cosa ha fatto il giorno prima, sceglie autonomamente cosa farà il giorno stesso e spiega come risolverà un eventuale problema tecnico. Al termine di ogni sprint viene mostrato al cliente (o al product owner, figura interna all'azienda che ne fa le veci) un prodotto già vendibile.
«Scrum tutela maggiormente il cliente perché, chiedendogli di partecipare costantemente, vengono eliminati gli sprechi di energie - sottolinea Charbonnier -. Si parte realizzando una versione piccola del prodotto che abbia le funzioni fondamentali e l'aspetto di quella grande, cui se ne aggiungeranno altre a seconda delle nuove esigenze emerse. Per usare un'altra metafora, è come se ci fossero due faraoni: uno fa costruire una piramide partendo da una base di 50 metri, l'anno dopo la innalza di uno strato e così via; l'altro fa costruire una piramide intera con una base di soli cinque metri già il primo anno, poi ne aggiunge altri cinque sul lato durante il secondo, e così via. Se il primo faraone muore dopo tre anni non avrà degna sepoltura, mentre il secondo faraone può morire quando vuole: avrà comunque la sua piramide».
L'aspetto più interessante di scrum è che oltre a essere scalabile può essere esportato in qualsiasi campo: è sì la metodologia d'elezione nella produzione di videogiochi e app, ma Toyota lo usa nell'assemblaggio delle auto; la padovana Lago per produrre mobili di design; i wedding planner più d'avanguardia per organizzare feste. Non può funzionare solo dove c'è una forte dispersione geografica delle risorse umane e dove il livello di controllo e burocrazia è molto alto, come nel settore pubblico.
Le aziende che adottano le metodologie agili sono di due tipi: quelle pionieristiche, che hanno fretta di mettere sul mercato il loro prodotto, e quelle che hanno un progetto da salvare e che, superata la crisi e testata l'efficacia di scrum, non tornano più indietro», spiega Francesco Mondora, 37 anni, il primo scrum master a essere certificato per l'Italia. Tra suoi clienti - che includono Enel Gas, Tre e Siemens - cita un esempio che lancia un segnale importante: «Navionics, che produce cartografia elettronica e appartiene al gruppo dei pionieri, dopo essere entrata in scrum ha scelto di riportare dall'India all'Italia gran parte del suo dipartimento software, assumendo decine di persone».
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