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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2011 alle ore 16:26.

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Inventarsi uno stato, una capitale, una bandiera. Questo è Xijing Men, il trio di artisti orientali che hanno deciso di giocare alla pace anziché alla guerra. Il loro progetto si chiama Xijing e racconta di un mondo immaginario, dove si fa quel che piace senza uno scopo; la moneta corrente è un giocattolo e la società è un bluff, come l'intera esistenza. Si può competere e soffrire o rinunciare e giocare.

Tutto nasce dalla volontà di scherzare sulla rinascita del Lontano Oriente, quel posto che a noi europei sembra unitario e che invece è diviso da religione, regime, tradizione e composizione sociale. Immaginate che un orientale - come accade - pensi che un italiano, un francese e un tedesco siano più o meno uguali. Il trio di artisti che compone Xijing Men mette insieme un cinese, un coreano e un giapponese, tre culture distanti tra loro come a noi è difficile immaginare.

Aggrava la situazione il fatto che ciascuno di loro sia già molto famoso in patria: Chen Shaoxiong (1962, Shantou, Cina), Gimhongsok (1964, Seoul, Corea del Sud) e Tsuyoshi Ozawa (1965, Tokyo, Giappone). I tre si portano dietro gli stereotipi delle loro origini e li mettono insieme nella satira. Forse pensano a un'America di domani più ricca, bella, incredibile e pigra di quella di oggi, ma soprattutto più a Est. Nonostante, letteralmente, Xijing significhi Capitale dell'Ovest. Ma a Ovest di dove non è dato sapere.

Xijing è un'isola che non c'è, anche se è poco idealista e molto cinica. L'epopea che si racconta in questo gioco di società è nata nel 1998, quando il giapponese e il cinese si incontrarono nella famosa mostra in cento tappe «Cities on the Move», ma si è davvero messa in moto nel 2005. Da allora sono stati realizzati quattro capitoli: la presentazione della città, in due spazi espositivi in Cina e in Irlanda, chiamata Do you know Xijing? e concepita come domande a persone che cercavano di rispondere come in una candid camera; This is Xijing è stata la seconda tappa, in cui si presentava uno stato fantasma attraverso pupazzetti e disegni; in Welcome to Xijing si inventano delle contro-olimpiadi con un logo a cinque cerchi concentrici, una bandiera e una serie di cerimonie cretine come portare in giro questi simboli con il passo dell'oca. E poi, adesso, arriva il capitolo I love Xijing che descrive l'idea di potere nella capitale.

In piazza San Marco a Venezia, presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, il gruppo ha portato una bandiera azzurra con un cerchio e quattro punte al suo centro (fino al 25 settembre, a cura di Beatrice Leanza). Niente di strano?

Beh, è larga quasi tre metri ed è così lunga da percorrere cinque stanze tra piano terra e primo piano; finisce su di un palo spezzato di dieci centimetri di diametro ed è stata prodotta appositamente in un'unica pezza di centro metri.

Appena prima che la bandiera inizi, un video dal ritmo rapido e sapido presenta il finto stato di Xijing con tutti i suoi principi fondamentali:
quelli urbanistici, ad esempio, sono spiegati visualizzando un cocomero che viene tagliato con maniacale pignoleria architettonica e poi mangiato con golosità. Un enorme piatto di riso viene spartito e divorato in tre minuti per raccontare la distribuzione delle risorse e quindi l'aspetto economico: chi prima arriva più prende.

Tutto assume l'aspetto di parodia, di un'ironia sul capitalismo orientale che sta ammazzando i valori antichi. E in sottofondo si sente anche la presa in giro del culto dell'energia, del fare tutto subito e in quantità, dell'orgoglio della crescita e del boom, di quell'esaltazione che ha preso gli abitanti del lontano Est da quando la politica, la guerra e l'economia li hanno forzatamente avvicinati all'Ovest.

Lo stato di Xijing ha una capitale fittizia dove tutto viene fatto al contrario di quanto accade a chi prende le cose sul serio, persino lo sport:
in un altro video vediamo dei finti samurai che si fanno quasi il solletico, il calcio giocato con un cocomero, la boxe in pigiama sopra il lettone, il ciclismo con biciclette da bambini.

E come vive il presidente di Xijing? In una specie di stanza ovale con una scrivania imponente, un quadro sopra la poltrona, un paio di divani e poltroncine per le riunioni riservate. Più o meno come tutti i presidenti.
Tutto, però, rigorosamente coperto dal drappo azzurro della bandiera che scorre e che rende questa parata di simboli completamente inutile. Perché a Xijing collassano tutte le buone azioni.

Aspettiamo per il prossimo capitolo un commento sull'esercito di Xijing, sulla sua capacità di far fronte alle catastrofi naturali, sul suo grado di democrazia interna. Mente i tre artisti continueranno a coltivare la loro immensa pigrizia, giustificata da un'ideologia semplicissima: se è possibile non fare quasi niente, perché darsi da fare?

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