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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2011 alle ore 18:27.

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Curiosa, e bellissima, coincidenza nell'arco di pochi giorni. Due versioni di "Cenerentola" in concomitanza: al Teatro Massimo Bellini di Catania quella di Jean-Christophe Maillot con Les Ballets de Monte-Carlo, e quella di Matthew Bourne al Ravenna Festival.

Da quando la fiaba in balletto è nata – debutto al Bolshoi nel 1945, musica di Prokoviev e coreografia di Zacharov - non c'è stato chi non abbia cercato di ribaltarne trama e significati, portandola su terreni particolari. Compreso Rossini che sostituisce la matrigna con un patrigno. Per non parlare poi dei nostri contemporanei. Da Maguy Marin a Lindsay Kemp; da Nureyev a Heinz Spoerli, da Aleksej Ratmanskij a Neumeier, al nostro Fabrizio Monteverde. En travesti, bamboleggiante, trasgressiva, hollywoodiana, femminista, introspettiva, e via di seguito, l'intramontabile storia si presta, per il suo plot, a molteplici chiavi di lettura.

In questa di Maillot, del 1999, visivamente un capolavoro di scene e costumi che unisce elementi di modernità a citazioni barocche, non abbiamo più nella scarpetta fatidica il centro focale. Il principe è, praticamente, un feticista. Descritto come un edonista inquieto e viziato, egli va all'inseguimento di una fanciulla dal piede puro e delicato di cui si è innamorato. In termini psicanalitici, dunque, al simbolismo sessuale della scarpetta subentra il feticismo del piede. Coreografo prolifico, alla guida della compagnia monegasca dal 1993, Maillot miscela linguisticamente classico e moderno, con un vocabolario teatrale che sulla base di una tecnica rigorosamente accademica vira in modalità contemporanee tra astrazione e movimento puro.

Gaia e scattante, poetica e critica, la sua "Cenerentola", oltre a evidenziare l'umanità dei personaggi, ha una forte valenza psicologica. C'è infatti nella protagonista l'identificazione – reale o immaginata – della madre morta e della fata, in un costante desiderio al ricomporsi della sua originaria famiglia. Già nel prologo il passo a due dei genitori (che ricorda Romeo e Giulietta) diventa il ricordo di una felicità perduta. Realtà e sogno si confondono continuamente, avendo nell'immagine del piede il filo rosso del balletto.

Dentro un impianto scenografico di gigantesche pagine bianche, sono molte le scene-madri: la messinscena di una rappresentazione caricaturale della sua stessa storia raccontata dalla fata con una divertente sfilata di manichini manovrati dai cosiddetti "ministri del piacere" (al posto dei topi); la vestizione della ragazza con lo stesso abito indossato dalla madre al suo ultimo ballo, con il piede che, in quel momento, brilla illuminato di lustrini; e, in contrapposizione, i piedi neri e orribili delle due sorellastre quando il principe le prova la scarpetta.

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