Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2011 alle ore 12:41.

My24
Louis ArmstrongLouis Armstrong

E' in arrivo un doppio anniversario che pochi sembrano ricordare, a cominciare dalle case discografiche. Il sommo trombettista e cantante Louis Armstrong nacque a New Orleans il 4 agosto 1901 (una data che fu a lungo incredibilmente incerta) e morì a New York il 6 luglio 1971. Visse dunque meno di settant'anni, logorato da un itinerario musicale lungo e faticoso che nella fase estrema si era attenuato poco o nulla. Diceva «il jazz e io siamo cresciuti insieme».

Era vero sia per ragioni anagrafiche, sia per il ruolo trainante che Armstrong svolse, sia come trombettista sia come cantante, in un periodo circoscritto ma fondamentale per la storia del jazz, quello che va pressappoco dal 1925 al 1932. Gli esperti più avvertiti affermano che senza Armstrong l'itinerario del jazz sarebbe stato diverso, o comunque meno rapido, ed è altrettanto vero. Se chiedeste ai jazzofili in età di nominare tre dischi che porterebbero sulla solita isola deserta, la maggioranza vi risponderebbe, in ordine cronologico, West End Blues di Louis Armstrong, Lover Man di Charlie Parker e My Favorite Things di John Coltrane, saltando perfino Duke Ellington (fra parentesi, West End Blues fu il primo disco di jazz, ovviamente a 78 giri, acquistato dal sottoscritto nel dopoguerra, incorniciato oggi in un quadro e appeso al muro).

Ma perché ho scritto che Armstrong come alfiere del jazz durò soltanto sette anni, accogliendo la tesi più severa? Ci vuole una spiegazione. Dopo il 1932 il trombettista ha suonato e cantato per altri 38 anni, ma in modo diverso. L'unico segno del suo declino, dopo il 1950, fu l'uso prudente della tromba, alla quale infine rinunciò del tutto. Sempre più si limitò a cantare con quella sua voce velata e allusiva, rauca e sfumata, comunque inconfondibile.

Ciò fu sufficiente, peraltro, affinché Armsrong continuasse la sua vita nomade di ambasciatore del jazz, richiesto in tutto il mondo per concerti con l'offerta di onorari altissimi, malgrado portasse con sé complessi ormai mediocri e programmi infarciti di motivetti alla moda. C'è chi ha sintetizzato la sua parabola artistica con uno slogan, «da New Orleans a Sanremo», citando il luogo dove cominciarono a manifestarsi le sue doti straordinarie e quello in cui accettò di eseguire nel 1968, al Festival internazionale della canzone, due temi insipidi. Nella frase, non priva di cattiveria, ci sono alcune verità essenziali.

C'è innanzitutto il riflesso di una regola comune alle espressioni artistiche contemporanee più insidiate dal commercialismo e dagli interessi industriali: quella per cui un autore dà il meglio di sé negli anni della giovinezza, più genuini e creativi, e si limita poi alla ripetizione dei moduli inventati. C'è inoltre la consapevolezza che Armstrong ebbe, assai presto, di poter diventare un uomo-spettacolo. E c'è infine l'accettazione dell'esistenza di un periodo aureo della sua creatività, appunto dal 1925 al 1932, mai più eguagliato in seguito, nemmeno in altre fasi di altissimo rendimento come nel 1940 e nel secondo dopoguerra. Si legga Marcello Piras che scrive: «Un bel giorno qualcuno si rese conto che Armstrong poteva diventare una miniera d'oro: bastava farlo conoscere al pubblico bianco. Detto fatto, Louis fu messo davanti a un'orchestra da ballo e gli si disse: canta le canzoni, facci divertire». Questa opinione, sebbene con duolo, è anche la mia. Vediamo adesso che cosa si può ascoltare e leggere per celebrare la ricorrenza dei 110 e dei 40 anni. Non si può dire che le case discografiche di Armstrong (Cbs-Sony e Rca Victor) si siano affaticate, segno che non hanno previsto grandi richieste. Oppure credono che il suo nome sia oggi quasi dimenticato e che i suoi titoli più popolari, vedi What A Wonderful World, funzionino soltanto per le attese telefoniche.

C'è un solo cd che si possa considerare una riedizione fresca di stampa: si tratta di Ella & Louis della serie Poll Winners Records, dove Fitzgerald e Armstrong sono assistiti (nel 1956 e nel 1957) dal magnifico trio anni cinquanta di Oscar Peterson. A nessuno pare siano venuti in mente i brani di Armstrong con King Oliver e con Fletcher Hednerson (1923-1925) che potrebbero retrodatare di due danni il ristretto periodo d'oro considerato da Piras.

Rimane – ma è un obbligo assoluto – il box di 4 cd Hot Five & Hot Seven offerto provvidenzialmente dalla Jsp Records. Era della Cbs-Sony che si permette di disdegnare questa pepita preziosa. Fra i libri in italiano consiglio Stefano Zenni: Louis Armstrong, Stampa Alternativa, Roma 1995, pagg.90. E' la biografia critica più bella e reperibile, malgrado abbia sedici anni. I miei possibili dissensi con l'autore non hanno alcuna importanza, perciò faccio la parafrasi del criterio fondamentale a cui Zenni si è attenuto.

Dopo la scomparsa di Armstrong, dice, i musicologi americani ci hanno insegnato a considerare la storia della musica afro-americana in una prospettiva globale che affonda le radici nell'Africa e poi nel Nord, Centro, Sud America e nel Mediterraneo, rifiorendo in generi multiformi nell'arco temporale che va dalla fine del XV secolo a oggi. Ecco dunque il tango argentino, l'habanera cubana, il pianismo di Luis Moreau Gottschalk, il blues, il samba, il ragtime, Duke Ellington, Stevie Wonder, Tom Jobim, e appunto Louis Armstrong che in questa concezione assume un ruolo del tutto inedito.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi