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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2011 alle ore 15:36.

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Pat MethenyPat Metheny

L'ultima volta era accaduto con «One a Quiet Night», un album del 2003 per chitarra acustica e basta, incoronato da un Grammy. La prima era stata nel 1979, con quel «New Chautauqua» che rivelò al mondo il talento visionario di uno degli eroi della sei corde tra jazz, fusion e world: Pat Metheny.

Adesso, a poche settimane dal suo cinquantasettesimo compleanno, l'iperattivo chitarrista di Lee's Summit (Missouri) ci riprova. «What's It All About», un cd fresco di stampa per la Nonescuh, é il suo terzo per sola chitarra. Ed ha anche un'altra particolarità: é l'unico disco di cover realizzato finora dall'artista americano, che qui svela un'anima decisamente pop. Una carriera folgorante, contrassegnata da incontri con i big della musica (Joni Mitchell e David Bowie, Steve Reich e Ornette Coleman, Charlie Haden e Brad Mehldau), il Metheny di oggi sembra privilegiare la dimensione intimista.

Com'è nato questo progetto?
«Ero reduce da un tour piuttosto lungo, più di 130 concerti. Così, dopo un anno passato in giro per il mondo, ho deciso di fermarmi e mi sono ritrovato nella mia casa di New York con la chitarra tra le mani. Ho cominciato a suonare qualche melodia che avevo in testa. Ne ho provata una, poi un'altra e un'altra ancora. E alla fine ho realizzato che ne stava venendo fuori un album vero e proprio».

Un album di hit pop degli anni Sessanta e Settanta, che comincia con la celebre«The Sound of Silence» di Simon & Garfunkel…
«Non a caso, perché mi ricorda la prima radio a transistor che avevo comprato e attraverso cui scoprii questo brano. E poi perché si tratta di un disco notturno, dato che io ho tre figli piccoli e quindi la notte é l'unico momento in cui posso lavorare tranquillamente. Ho registrato canzoni che facevano parte della mia memoria di adolescente».

Con quale criterio li ha selezionati?
«Il primo è certamente un criterio affettivo. Sono nato nel 1954 e questi pezzi erano in classifica quand'ero ragazzino e avevo tra i 9 e i 12 anni. In secondo luogo, li ho scelti in conformità con lo strumento che utilizzo, cioè la chitarra baritono. Essendo una via di mezzo tra la sei corde tradizionale e il basso, ha un timbro molto profondo e richiede una tecnica insolita. Non tutti i temi si adattano. La cosa divertente é che in scaletta ci sono pure "Pipeline" dei Chantays e "Garota de Ipanema" di Tom Jobim, in assoluto le prime canzoni che ho imparato a suonare!».

E c'è anche un classico di Lennon e McCartney…
«Sì, è "And I Love Her". Avevo praticamente finito l'album e, all'improvviso, mi sono accorto che tra i brani non ce n'era neanche uno dei Beatles, che io adoro. Ho ripreso proprio questa canzone in quanto mi ricordava "A Hard Day's Night", il film dei Fab Four che da adolescente ho rivisto più volte. Una curiosità: é il solo pezzo che eseguo usando una normale chitarra acustica con le corde in nylon, come se volessi rispettarne fino in fondo la melodia. Ed é anche quello che chiude l'album».

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