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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2011 alle ore 08:15.

«L'indipendenza di giudizio non è equidistanza» usava dire Eugenio Torelli Viollier, il fondatore del «Corriere della Sera». E forse dire fondatore è persino riduttivo per un uomo che «costruì» dal nulla il foglio destinato in pochi anni – il primo numero uscì nel 1876 – a diventare la voce della borghesia imprenditoriale del Nord, contribuendo a dare una voce e un profilo alla nuova Italia post-unitaria. È curioso che questo personaggio affascinante, ex garibaldino e cosmopolita, sia relativamente poco noto. Alla sua immagine si è sovrapposta quella di Luigi Albertini, sotto la cui guida il «Corriere» raggiunse traguardi straordinari di diffusione e influenza: tuttavia Albertini non sarebbe esistito se prima di lui non ci fosse stato Torelli, il quale non a caso lo aveva assunto individuando in lui le caratteristiche idonee a sviluppare un quotidiano moderno e innovatore.
È merito di Massimo Nava aver colmato la lacuna con la sua interessante biografia dell'uomo che fondò, anzi «fece» il «Corriere». In realtà Nava non si limita a descrivere una vita avventurosa e piena di ardimento, ma approfondisce la cornice sociale e politica della Milano dell'ultimo quarto dell'Ottocento. La Milano in cui agli slanci liberali fanno da contrappeso le chiusure reazionarie che sfoceranno nei moti del 1898 repressi a cannonate da Bava Beccaris. Il «Corriere» di Torelli Viollier nasce nel momento in cui la Destra va in crisi, aprendo la strada a una Sinistra che scatena una serie di inquietudini nei ceti borghesi del Nord. Il nuovo quotidiano si colloca sul punto d'equilibrio di queste tensioni, fra il senso delle istituzioni della Destra e le istanze sociali della Sinistra.
È una frontiera che il «Corriere» tenderà a non abbandonare più, salvo nei periodi bui della sua storia. Torelli Viollier riesce ad anticipare sul quotidiano i grandi temi di fine secolo, quando le speranze e gli ideali dell'Unità si appannano nel realismo e spesso nel grigiore quotidiani. Lo fa realizzando con il «Corriere» non un mero foglio «legge e ordine», si direbbe oggi, ma un quotidiano davvero europeo e indipendente, di vocazione liberale e nel segno dell'identità nazionale. E quali siano i sentimenti di Torelli lo vedremo nel '98, quando egli non nasconde la sua avversione allo stato d'assedio e dunque al tentativo di svolta autoritaria.
Sono anni in cui prende forma la figura del giornalista come la conosceremo nel secolo che si annuncia. Con i suoi limiti, ma anche con la sua capacità d'interpretare la nuova Italia. Come dimostra Giancarlo Tartaglia nel primo volume della sua storia della Federazione Nazionale della stampa italiana, c'è un filo conduttore che lega i fermenti dei due decenni finali dell'Ottocento e le prime espressioni di un moderno associazionismo giornalistico. Fenomeno che poi sarà definito meglio con la nascita della Fnsi nel 1908, nel pieno dell'età giolittiana con la sua visione riformatrice.
Per cui si possono individuare tre filoni. La nascita e il consolidamento, dalla metà degli anni Settanta in poi, delle testate nazionali che scandiranno la storia del Paese. L'organizzazione politica di massa, con la nascita di partiti e movimenti politico-sindacali. L'apparire sulla scena delle associazioni giornalistiche, nelle quali sono attivi gli stessi protagonisti della grande stampa. Primo fra tutti proprio Torelli Viollier, la cui vita intensa e frenetica (scandita peraltro da eventi dolorosi che Nava racconta con garbo e senza reticenze) si chiude troppo presto. Intorno a lui la nazione sta cambiando, mentre le basi democratiche dello Stato non tarderanno a manifestarsi assai fragili. E la stampa libera pagherà un prezzo molto alto al collasso successivo alla Grande guerra.
Massimo Nava
Il garibaldino che fece il Corriere
della Sera. Vita e avventure
di Eugenio Torelli Viollier
Rizzoli, Milano
pagg. 290, € 19,50
Giancarlo Tartaglia
Un secolo di giornalismo italiano (vol.I)
Mondadori Università, Milano
pagg. 500, € 34,50

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