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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2011 alle ore 08:16.

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Peter Falck (foto Fotogramma)Peter Falck (foto Fotogramma)

Quando, un paio d'anni fa, uscirono le foto che lo mostravano in stato confusionale per le strade di New York, molti ne furono toccati come dalla sorte di un amico o di un parente. Peter Falk, morto venerdì scorso a 83 anni, malato da tempo di Alzheimer, era un volto amato e familiare per generazioni di spettatori televisivi.

Era il tenente Colombo, anzi Columbo nell'edizione originale americana: col suo impermeabile stropicciato e una moglie invisibile, aveva interpretato centinaia di episodi dal 1971 al 1978, e poi, in vari ritorni, dal 1989 al 2003 (ma l'episodio pilota era addirittura del 1968). La trovata principale del telefilm era di invertire le regole: lo spettatore sapeva subito chi era l'assassino, e seguiva solo le induzioni e gli stratagemmi del poliziotto per arrivare alla conclusione. La struttura degli episodi (diretti talvolta da registi come John Cassavetes o un giovane Steven Spielberg, o interpretati da ex divi a fine carriera) addomesticavano le movenze dell'hard boiled, rendendolo più simile alle classiche «cacce al colpevole» alla Agatha Christie. Ma il suo detective dall'aria dimessa era portatore soprattutto di una moralità ironica e saggia, comprensiva ma capace di distinguere il bene dal male, stanando da plebeo le ipocrisie dei ricchi californiani. Di recente, uno dei gruppi rock italiani più noti, i Baustelle, ha dedicato al tenente una canzone che porta il suo nome, vedendolo come un angelo sterminatore di «scrittori in crisi a Beverly Hills» e «vecchie dive del noir»: «arriva un investigatore e ci deduce l'anima: la nostra condizione del dolore illumina».

Non solo a causa del ruolo di Colombo, molti pensavano che Peter Falk fosse di origini italiane, e invece era figlio di ebrei di origine polacca e russa. Nonostante il vistoso strabismo causato dall'occhio di vetro (aveva subito un'operazione da bambino), era riuscito lo stesso a farsi una carriera teatrale e poi a debuttare nel cinema come potente caratterista, in Sindacato assassini (1960), nel ruolo di un celebre gangster ebreo, Abe Reles: un film che gli aveva subito fruttato la nomination all'Oscar. Subito aveva volto in commedia il proprio ruolo, con il gangster dal cuore d'oro nel l'ultimo film di Frank Capra, Angeli con la pistola (1962). L'aspetto fisico sembrava condannarlo a una carriera di caratterista e di ruoli comici: nel più memorabile del periodo, La grande corsa (1965) di Blake Edwards, era l'assistente di un cattivissimo Jack Lemmon, e la distribuzione italiana lo aveva trasformato in siciliano, ribattezzandolo Carmelo. Tanto italiana era la sua faccia, che da noi Falk interpretò anche diversi film: fu soldato in Italiani brava gente (1964) di Giuseppe De Santis e ufficiale in Rosolino Paternò, soldato... (1970) al fianco di Nino Manfredi, e ancora gangster in Gli intoccabili (1968) di Giuliano Montaldo

Negli anni di Colombo, lo si ricorda soprattutto per un paio di versioni parodistiche del suo classico ruolo, in divertenti commedie scritte da Neil Simon: Invito a cena con delitto (1976), a fianco a commedianti come Peter Sellers e David Niven, e A proposito di omicidi... (1978). E il suo talento comico si confermava anche in Una strana coppia di suoceri (1979), a fianco di Alan Arkin, e in Pollice da scasso (1982) di William Friedkin. Indimenticabile il suo ruolo crepuscolare in California Dolls (1982), ultimo film di Robert Aldrich, nel quale era un allenatore fallito di una coppia di lottatrici di catch.

Ma Peter Falk resterà nella storia del cinema, oltre che in quella della tv, grazie soprattutto al suo sodalizio con il grande John Cassavetes, che lo diresse in un paio di capolavori: Mariti (1970) e Una moglie (1974). Due ritratti desolati di famiglie americane, girati con uno stile rivoluzionario tutto centrato sul lavoro degli attori: insieme a Falk, l'immensa Gena Rowlands, Ben Gazzara, Seymour Cassel. Per capire l'importanza del metodo di Cassavetes e la profondità della sua lezione, la lettura migliore è il capitolo su di lui in Chi c'è in quel film? di Peter Bogdanovich (Fandango). In entrambi i film Falk è la quintessenza del maschio in crisi, piccolo-borghese o proletario, sotto lo sguardo spietato ma pieno di carità del regista.

Alla fine, Falk ebbe anche un Oscar, per il suo ruolo più bizzarro, in Il cielo sopra Berlino (1987) di Wim Wenders. Vi interpretava infatti se stesso; ma un se stesso che si scopriva essere anche un angelo. Un angelo senza pistola, come il tenente Colombo.
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