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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2011 alle ore 08:16.

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Da Venezia a Pisa e poi, per mare, da Livorno a Cadice. Non si poteva dire che Alonso si annoiasse. Gli affari andavano a gonfie vele: ormai aveva trent'anni, e abbastanza esperienza per rappresentare la sua famiglia anche su piazze importanti. Era lui che si occupava delle spedizioni dal Nord Africa e delle importazioni dal l'Italia, delle stoffe e dei marmi che andavano ad arricchire la corte del re del Marocco. Gli Herrera erano mercanti d'alto bordo, e un giorno lui avrebbe avuto le redini della ditta. Ma aveva fatto i conti senza gli inglesi. Quando, nel giugno 1596, la flottiglia del conte di Essex attaccò e saccheggiò Cadice, Alonso fu fatto prigioniero, con una quarantina di altri notabili, e portato in Inghilterra. Per lui, discendente degli ebrei che un secolo prima erano stati cacciati dalla Penisola Iberica, finire ostaggio assieme agli spagnoli era una sorte beffarda. Prigioniero, alla fine dovette sborsare la sua parte dei 120.000 ducati di riscatto. Tra suppliche, preghiere e minacce, la trattativa era durata ben quattro anni.
Dopo la liberazione, passava sempre più tempo a leggere, e al libro mastro preferiva ormai testi di un genere molto diverso. Prese anche a frequentare maestri itineranti, mistici dagli occhi febbrili, che viaggiavano di comunità in comunità per diffondere un loro verbo segreto. Divenne un cabbalista. Abbandonò il suo vecchio nome, così utile per passare inosservato tra i cristiani, e si fece chiamare da tutti Abraham Cohen Herrera. Quello che non perse, fu l'inclinazione agli spostamenti. Visse a Ragusa, poi ad Amburgo, e infine ad Amsterdam. Qui, nell'atmosfera cosmopolita dell'Olanda protestante, trovò la calma per tirare le fila di anni di studi e di meditazioni. Nella Porta del Cielo, il suo capolavoro, s'indovina qua e là il passato di commerci e navigazioni. Ma l'oceano in cui ora Herrera s'avventurava non era quello della realtà fisica. Era l'immensa distesa di luce che avvolge l'inconoscibile, e in cui sorgono, come isole a cui approdare, le forze superne, le sefirot, che la qabbalah insegna a nominare e a descrivere. La Porta del Cielo è un grande atlante di questo mondo segreto, scritto – ed è novità importante – in spagnolo, e non in ebraico. Dopo una vita passata al confine tra società eterogenee, Herrera decise di schiudere gli insegnamenti mistici anche a coloro che non avevano una specifica preparazione rabbinica. Ebrei reduci dalle traversie dell'esperienza marrana, o cristiani attratti dalle visioni giudaiche. Per questo scelse uno stile filosofico, e arricchì la sua prosa con citazioni dalla letteratura europea. Nel libro s'incontrano così le opinioni di Ficino e di Pico, di Leone Ebreo e di Tommaso d'Aquino, ma anche del gesuita Francisco Suárez o del cardinale Gaspare Contarini. È un inedito crogiolo di tradizioni diverse, che Giuseppa Saccaro Del Buffa propone per la prima volta in una accurata traduzione italiana, accompagnata dall'edizione critica dello spagnolo. Con la sua prosa ornata, e la ricchezza di metafore d'inventiva barocca, La Porta del Cielo esprime il sogno multiculturale di un mercante convertito alla contemplazione.
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Abraham Cohen de Herrera
La Porta del Cielo
a cura di Giuseppa Saccaro Del Buffa Neri Pozza, Vicenza
pagg. 908, € 50,00

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