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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2011 alle ore 18:08.

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La vocalist Dee Alexander all'Umbria Jazz (Ansa)La vocalist Dee Alexander all'Umbria Jazz (Ansa)

Appena iniziata, Umbria Jazz 2011 ha già posto in archivio, fra gli episodi da ricordare, due concerti stupendi. Anzi tre, perché la vocalist Dee Alexander e il suo quintetto Evolution Ensemble con James Sanders violino, la dolce Tomeka Reid violoncello, Junius Paul contrabbasso e basso elettrico, Ernie Adams batteria e percussioni, ha ottenuto applausi trionfali con due concerti completamente differenti.

Dee Alexander si fece conoscere per la prima volta in Italia nel 2009, proprio all'Umbria Jazz estiva di Perugia, quando arrivò con la nutrita troupe dell'Aacm, l'Associazione per il Progresso della Musica Creativa.

Ma i musicisti erano tanti e tutti bravi, per cui le sue doti straordinarie non furono notate come meritavano. Assai diversa è stata la sua riapparizione "in residenza" all'ultima Umbria Jazz invernale di Orvieto con gli stessi collaboratori: ha offerto eccellente musica da camera, che si può definire così nel senso etimologico del termine (cioè un assieme di suoni raffinati, adatti per essere ascoltati in concentrazione da un pubblico consapevole in un ambiente non vasto) sebbene nello stile, oltre a echi accademici, si siano sentiti in netta prevalenza gospel, blues e soul.

Nel primo concerto, tenuto nell'ampio "main stage" perugino dell'Arena Santa Giuliana, in teoria non adatto ai mezzi del quintetto, Dee e compagni hanno annunciato ed eseguito un Omaggio a Jimi Hendrix, rivelando aggressività e potenza insospettabili per chi non avesse ancora assistito a questo nuovo progetto. Dodici ore più tardi, nella tranquillità e nella buona acustica dell'Oratorio di Santa Cecilia (vi si realizzano numerose incisioni discografiche) l'Evolution Ensemble è tornato alla sua sommessa raffinatezza abituale, e Dee ai sottili funambolismi vocali di cui è capace. L'Ensemble si può ammirare ancora dal 13 luglio fino all'ultimo giorno del festival, il 17 prossimo, e sempre nell'Oratorio. Chi ci legge è avvisato: vale un viaggio anche da lontano. Un concerto unico, e in esclusiva italiana, hanno tenuto invece tre formidabili musicisti che furono sodali di Miles Davis: Wayne Shorter sax tenore e soprano, Herbie Hancock pianoforte e piano elettrico, Marcus Miller basso elettrico e clarone, per celebrare il ventennale della scomparsa del grande maestro. Con loro hanno suonato Sean Jones tromba (ottimo, ma più vicino a Dizzy Gillespie che a Davis) e Sean Rickman batteria. In tutti, e segnatamente nei magnfici tre, si sono percepiti la commozione sincera e il rimpianto, per cui hanno dato il meglio. Hancock ha ritrovato il tocco e il fraseggio dell'ex fanciullo prodigio che esordì in pubblico a sette anni con un Concerto di Mozart; Shorter ha fatto anche lui un balzo all'indietro nel tempo, alla sua freschezza giovanile degli anni sessanta, quando fece parte con Hancock del celebre Miles Davis Quintet, adorato specialmente da chi non ha mai perdonato a Davis la svolta "elettrica" del 1969, più tardi ribadita dal maestro con accenti diversi nel suo periodo estremo (1981/1991). Quanto a Marcus Miller, la sua attività odierna di solista, arrangiatore e direttore d'orchestra è un tributo continuo a Davis, e quindi si è trovato a proprio agio al punto da assumere, in questo memorabile exploit perugino, una veste quasi direttoriale.

Si sono ascoltati fra gli altri (citiamo a memoria) brani davisiani bellissimi e storici come All Blues, So What, Jean Pierre, Tutu. Perfino chi abbia oggi meno o molto meno di cinquant'anni ha avvertito spesso un nodo alla gola.

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