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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2011 alle ore 19:19.

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Shorty, musicista americano si esibisce a Umbria Jazz (Epa)Shorty, musicista americano si esibisce a Umbria Jazz (Epa)

Scrivere di Umbria Jazz 2011 in sede consuntiva implica una premessa. Si detto più volte che il maggiore jazzfest italiano (che è anche uno dei maggiori al mondo) ha dovuto trasformarsi in parte in una manifestazione crossover. E' accaduto da quando il jazz offre pochi nomi illustri – sempre meno numerosi – in grado di attirare spettatori che esauriscano l'Arena Santa Giuliana di Perugia.

E allora, ecco il necessario ricorso ad artisti "altri": questa volta a Santana, Liza Minnelli e Prince, senza contare i pianisti di jazz neolatini tipo Michael Camilo, inguaribili fracassoni. La premessa è la seguente: per chi scrive questa nota, l'unica distinzione valida è quella che separa la buona musica dalla cattiva. Le altre sono categorie di comodo. Perciò non c'è alcun trattamento di favore per chi faccia "più jazz" rispetto a chi faccia "meno jazz" o per nulla.

Tanto per essere chiari, e non è la prima volta.
Cominciamo dai concerti per palati fini. Si sono già segnalati i magnifici tre – Herbie Hancock, Wayne Shorter e Marcus Miller – che hanno recato un tributo autentico a Miles Davis nel ventennale della scomparsa, e l'inatteso omaggio a Jimi Hendrix della cantante Dee Alexander con il suo quintetto Evolution Ensemble: inatteso per il volume dei suoni che hanno pervaso l'Arena senza rinunciare all'abituale raffinatezza.

Ma poi Dee (con James Sanders violino, Tomeka Reid violoncello, Junius Paul contrabbasso, Ernie Adams batteria e percussioni: si noti la strumentazione inusuale per il jazz) si è esibita quasi ogni giorno a mezzodì, sino alla fine del festival, nella quiete e nel clima cameristico dell'Oratorio di Santa Cecilia, ritornando alla musica sottile e alle acrobazie vocali che le sono consuete e che entusiasmarono il pubblico all'Umbria Jazz Winter di Orvieto.

Il quintetto ha inciso un cd per Egea all'Oratorio ed è stato confermato per Umbria Jazz 2012.
E' sfuggita ai più, spiace rilevarlo, la bellezza del concerto offerto da Branford Marsalis sax alto e sax soprano con Joey Calderazzo pianoforte, ai quali si sono uniti per poco Eric Revis contrabbasso e Justin Faulkner batteria. Ne è responsabile in parte l'ambientazione sbagliata, perché il duo ha sofferto della vastità dell'Arena, mentre era preferibile un teatro, ancorché stipato e con i ritardatari fuori dalle porte.

Gli esperti hanno apprezzato l'eccellente intesa di Marsalis e Calderazzo, il primo con un timbro capace di coniugare passato e futuro, il secondo impegnato nella parte centrale della tastiera come l'indimenticabile Mal Waldron, pur senza copiarne lo stile. Hanno tratto alcuni brani (Hope, The Bard Lachrymose) dal loro recente cd «Songs of Mirth and Melancholy» per Marsalis Music. I titoli testimoniano che Branford non ha ancora metabolizzato del tutto, malgrado il sodalizio con Calderazzo, il suicidio (tredici anni fa!) del suo amato pianista Kenny Kirkland.

Non è mancata una rivelazione. Nessuno conosceva il trio argentino Aca Seca di Juan Quintero, chitarra e voce principale, Mariano Cantero percussioni e voce, Andrea Beeuwsaert pianoforte e voce, al punto che la direzione artistica di Umbria Jazz ha voluto che suonasse con loro un musicista molto noto, allo scopo di richiamare il pubblico al concerto (di mezzanotte) al Teatro del Pavone. La giusta scelta è caduta sul grande clarinettista Gabriele Mirabassi, che è perugino ed è esperto e mèntore della musica d'arte dell'America del Sud. Il trio ha conquistato subito il pubblico con un incredibile coro a cappella, poi la collaborazione con Mirabassi ha fatto il resto. Musica meravigliosa, applausi da stadio, desiderio di riascolto al più presto. Per adesso si trova in Italia un cd "the best of" intitolato «La Musica y la Palabra» di SudMusic distribuito da Egea: va cercato con urgenza nei negozi più aggiornati.

Veniamo ora ai musicisti "altri". Il migliore è stato di gran lunga Prince, che ha proposto un ottimo spettacolo e (non sempre) ottima musica che ha toccato il vertice in una lunga sequenza soul da tutti apprezzata. E' in tournée da mesi, quindi musicisti e cantanti si intendono a occhi chiusi esaltando il fascino dell'assieme. Aveva visto bene il divino Miles Davis quando, seppure esagerando come il suo solito, aveva definito Prince un Duke Ellington del futuro. Il chitarrista-direttore è stato osannato all'Arena da settemila ascoltatori, tutti in piedi come previsto dal contratto. Anche Santana ha fruito dello stesso pubblico sull'attenti, ma su di lui il sottoscritto si astiene da qualsiasi giudizio per via di un'antica uggia personale, convalidata da alcuni suoi atteggiamenti sul palcoscenico dell'Arena. Quanto a Liza Minnelli, c'erano tanti musical più appetibili e invitanti del suo, teso verso il previsto e prevedibile finale con «New York New York». E' significante che l'unica song ben riuscita, «I Can't Give You Anything But Love» eseguita in duo con il pianista-cantante Billy Stritch, sia stata la meno applaudita.

Non fa piacere concludere queste righe con un velo di tristezza, ma è inevitabile. Riguarda il sommo bluesman B.B.King che avremmo preferito ricordare com'era, ben al di là dei complimenti di convenienza del giorno prima e del giorno dopo. A 86 anni, B.B. ha dietro di sé una carriera lunga e logorante come chitarrista (dove ogni tanto si percepisce ancora qualche unghiata del leone) e come cantante. Ma la voce del cantore non è più quella. Per lui e soltanto per lui, alla sua sortita nel palco, tutto il pubblico dell'Arena (ovviamente seduto nelle poltroncine) si è alzato in piedi. Dopo, però, non pochi hanno capito e se ne sono andati. Senectus ipsa morbus, dicevano gli antichi romani. E avevano ragione.

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