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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2011 alle ore 20:41.

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(Reuters)(Reuters)

Ma è nata prima l'estate o il tormentone estivo? Chi ha meno anni sul groppone questo curioso interrogativo probabilmente se lo sarà già posto e per un motivo molto semplice: da almeno cinque decenni a questa parte, non passa stagione estiva senza che a salutarla ci sia almeno una canzoncina di tre minuti circa, motivetto orecchiabile, giro armonico semplice, arrangiamento spesso elementare, testo (più o meno) curioso, interprete (almeno un po') carismatico.

Porta tutti questi ingredienti sulla battigia, cuocili sotto il sole agostano, falli saltare per bene durante l'ora del gioco-aperitivo e il successo è garantito. Nel juke box di ieri, come nell'iPod di oggi. Per la gioia dei discografici che, fatturati alla mano, oggi saranno probabilmente un po' meno soddisfatti di ieri. Volete qualche esempio?

C'era una volta il boom. Il tormentone estivo nasce con l'era del boom economico, quegli anni Sessanta della motorizzazione di massa, delle prime scampagnate domenicali con pranzo a sacco e qualche soldino in più in tasca… da «investire» in un 45 giri o infilare in un juke box. Pare che tutto sia partito dalla «Marina» del cosentino Rocco Granata, incisa nel '59 ma impostasi nell'estate del '60. Troppo presto per parlare di testi provocatori: il massimo della trasgressione consisteva nel passaggio lirico «Ti voglio al più presto sposar». Di fatto, però, il genere prende piede: le classifiche degli anni Sessanta saranno così dominate dai prodotti di trasmissioni televisive come «Cantagiro» e «Festivalbar» nonché da specialisti della canzone da ombrellone del calibro di Edoardo Vianello e Los Marcelos Ferial. Il primo imperversa a ritmo di mambo con le varie «Pinne fucile ed occhiali» e «Abbronzatissima», i secondi spagnoleggiano tra «Cuando calienta el sol» e «Sei diventata nera». Chi ha gusti più sobri probabilmente preferirà l'opzione «Legata a un granello di sabbia» di Nico Fidenco, direttamente dal film «Pesci d'oro e bikini d'argento» (sic!), oppure la pre-depressiva ma tutto sommato nobile «E la chiamano estate» di Bruno Martino. Sempre che non ci si voglia scatenare al ritmo vagamente Stax della «Stasera mi butto» di Rocky Roberts.

Contestazione per "tutte le taglie". Vero è che con gli anni della Contestazione la musica diventa una cosa seria, roba da Beatles, Stones e Dylan per capirci. L'industria dell'italica canzonetta, tuttavia, riesce a infilarsi a modo suo nel filone e piazza i primi tormentoni beat: ecco gli oriundi Rockes che al «Cantagiro ‘66» arrivano secondi con «Che colpa abbiamo noi» (cover della «Cheryl's going home» di Bob Lind) e gli autoctoni Equipe 84 che quattro anni più tardi imperversano con la cover dei Bee Gees «Pomeriggio ore 6», all'epoca giudicata scandalosissima oggi fin troppo governativa («Lei è molto giovane/ ma per questo non sarà/ che dobbiamo attendere/ la sua maggiore età»). Altro fenomeno di importazione vinilica, in Italia come nel resto d'Europa, è l'americano Scott McKenzie, cresciuto alla corte dei leggendari Mamas and Papas: nel ‘67 «volgarizza» senza troppi eccessi lisergici il fenomeno della Summer of Love interpretando «San Francisco». Della serie: «Se state andando a San Francisco/ mettete dei fiori nei vostri capelli».

Tormentoni disco dance. Nella seconda metà degli anni Settanta esplode la disco music e le estati musicali, inevitabilmente, ne risentono. Come dimenticare, per esempio, l'improbabile terzomondismo Afric Simone che nell'estate '76 ci porta in dono «Ramaya»? E la hit «One for you, one for me» di La Bionda, vera e propria perla kitsch dell'estate ‘78? A confronto «YMCA», inno dell'orgoglio gay confezionato dai Village People, è la Nona di Beethoven.

Ottanta e Novanta nel segno del sintetico. A partire dagli anni Ottanta diventa sempre più difficile trovare tormentoni estivi «suonati»: tutto è affidato al sintetizzatore… e si sente. Nell'82 per esempio domina Wonder Dog, coro di cani che esegue «Ruff Mix» per la direzione di tale Massimo Alberti da Bergamo. Lo stesso che, cinque anni più tardi, toglie il microfono ai cani e lo dà alla show-girl Sabrina Salerno per farle cantare «Boys». I maschietti venuti su negli anni Ottanta ancorano sospirano al ricordo di tanta roba. Sempre a proposito di hit «sintetiche», un loro perché ce l'avevano i milanesi Righeira, paladini dell'estate '83 con «Vamos a la playa» e di quella '85 con «L'estate sta finendo». Chi ha vissuto i Novanta, poi, deve aver fatto molta fatica a scrollarsi di dosso «All that she wants» degli Ace of Base ('93), «Scatman» del compianto John Scatman ('95) e «Lemon Tree» dei tedeschi Fool's Garden che dominerà l'estate '96.

Tra ossessione ispanica e remix. E gli ultimi dieci/quindici anni di tormentoni? Più o meno tutti appannaggio di cantanti che spagnoleggiavano e dj che remixavano. Lou Bega nel '99 fa entrambe le cose con la sua versione del «Mambo No. 5». DJ Bobo scioglie di nuovo i cani in «Chihuahua» (2003), Juanes tira fuori «La camisa negra» (2005) ignorando eventuali fraintendimenti politici. Ci scappano persino suggestioni etno-chic con il belga-ruandese Stromae e la sua «Alors on danse» (2010). Il resto è territorio di collaudati e strapagati disk jokey come Bob Sinclair (quello di «World, hold on») e David Guetta (ricordate «When love takes over»?) o prodotti creati in laboratorio come «We no speak Americano», remix di Carosone attribuito a tale Yolanda Be Cool che ha tenuto banco l'anno scorso. Chi conquisterà, invece, la palma del tormentone 2011? Per ora sembra lanciatissima «Stuck», hit vagamente jazzy di Caro Emerald. L'effetto nostalgia vince sempre da un po' di tempo a questa parte. La temperatura intanto già sale. Ah, se almeno per un'estate, potessimo allontanare da noi l'amaro cocktail del tormentone estivo!

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