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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2011 alle ore 19:22.

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Depero, grattacieli e tunnelDepero, grattacieli e tunnel

L'America non esiste. Esistono le Americhe, realtà molto differenti che convivono nello stesso continente. Ma anche quella che nel linguaggio comune è l'America per antonomasia, gli Stati Uniti, è tutt'altro che omogenea. Ciò è confermato da un saggio di Ambra Meda, docente di Letteratura italiana contemporanea all'università di Parma: Al di là del mito. Il libro indaga "l'immagine, più o meno oggettiva, degli Stati Uniti che letterati e giornalisti italiani hanno cercato di restituire nel corso del Ventennio fascista"; epoca particolarmente significativa per i rapporti fra i due paesi.

In un primo tempo si impose "una concezione mitica degli States, modellata sulla tensione libertaria e trasgressiva del romanzo americano", poi iniziò la "demonizzazione della civiltà statunitense, nel contesto dell'autarchia culturale". Cesare Pavese non fu un buon testimone, dato che mai volle visitare gli States per non tradire il mito alimentato dalla lontananza. Dunque Meda concentra il suo lavoro sulla "visione più ponderata e realistica degli scrittori che negli Usa soggiornarono davvero". Franco Ciarlantini, intellettuale ben integrato nella gerarchia fascista (ricoprì la carica di direttore dell'Ufficio propaganda del Pnf) vide incarnarsi nel coraggio dei pionieri la massima mussoliniana "vivere pericolosamente". In fondo l'uomo di Predappio era un self-made man e sulle politiche accentratrici e stataliste del New Deal si poteva certo mettere il cappello, o meglio il fez. Il giovane reporter Luigi Barzini jr. descrisse con "prosa rapida, laconica ed essenziale", di scuola statunitense, gli Usa come "migliore speranza del mondo". Non per niente negli anni '60 militò nel Partito Liberale italiano.

Il futurista Fortunato Depero, entusiasta seguace di un Duce "moderno nel senso più esasperante della parola", soggiornando a New York, entrò "nel vortice travolgente della modernità" e contemplò lo "slancio aggressivo, guerriero e minaccioso" dei grattacieli. Mario Soldati cercò nel nuovo continente le libertà negatagli dall'educazione gesuitica e piemontese e dal regime. Inizialmente apprezzò tutto, "anche la volgarità e lo squallore". Poi con metafora erotica, riconobbe un "giovanile errore" petrarchesco nell'aver amato una nazione "femme fatale". Emilio Cecchi amò più l'"America antica e preistorica" del Messico delle metropoli babeliche del Nord e criticò il sistema "falsamente democratico" dell'Unione che negava i diritti dei neri. Giuseppe Antonio Borgese, fuggito da "Mussolinia", perché ostile al fascismo, posò uno sguardo benevolo su quella "continuazione dell'Inghilterra". Preferì "i toni medi dei piccoli centri", dell'America più vera di quella dei grattacieli. Così contrastò gli stereotipi di allora, mai del tutto tramontati: "chi non vede che materialismo e business, vede poco, e corto".

Ambra Meda, Al di là del mito. Scrittori italiani in viaggio negli Stati Uniti, Vallecchi, pag. 376, euro 16

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