Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2011 alle ore 17:50.

My24
La scrittrice, Agota KristofLa scrittrice, Agota Kristof

È passata solo un'ora dalla notizia della morte della scrittrice ungherese Agota Kristof e già i social network salutano l'autrice della «Trilogia della città di K» ricordando i passaggi più significativi dei suoi libri e i personaggi che popolano le sue storie d'infanzia e solitudine. «L'emozione provata nella lettura della "trilogia" è immortale», scrive su Twitter @pratiche sociali, mentre lo status di Annalisa su Facebook diventa una frase del libro: «Perché il verbo amare non è un verbo sicuro, manca di precisione e di obiettività».

Agota Kristof, nata a Csikvánd in Ungheria nel 1939, era una scrittrice amatissima. Al punto che la storia dei gemelli Lucas e Klaus, alla base della «Trilogia», è riuscita a conquistare anche chi, in genere, non ha dimestichezza con la letteratura.

Ripercorrere la storia di vita di una donna, descritta come scostante e di poche parole, è utile per capire le ragioni dell'amore dei lettori. Viene in mente il fortunato titolo di un libro del 2007 di Peter Cameron «Un giorno questo dolore ti sarà utile». I testi di successo della Kristof nascono dalle sconfitte e dai drammi della vita. Ed è proprio nel riconoscimento di un dolore vivo e autentico che il lettore trova conforto.

Una notte di novembre del 1956, mentre l'Armata Rossa sta sedando la rivolta ungherese, Agota Kristof attraversa la foresta con il marito e la figlia di quattro mesi per arrivare in Austria. Da lì raggiungeranno la Svizzera. Giungono a Neuchâtel, cittadina sul lago dove la scrittrice vivrà fino alla morte. Anni duri: prima la fabbrica, poi l'adattamento difficile in una comunità di immigrati, la separazione dal marito (a cui la scrittrice non perdonò mai la fuga dall'Ungheria), e l'obbligo di abbandonare l'amata lingua madre per il francese.

In un'intervista rilasciata al sito letterario ungherese hlo.hu ha dichiarato: «In Svizzera non avrei avuto nessuna possibilità se avessi scritto in ungherese. Però ho continuato a scrivere anche nella mia lingua madre per un bel po' di tempo, almeno cinque anni».

Dicono che il suo francese parlato fosse - dopo quasi sessanta anni - ancora fragile e insicuro (con la «erre» dura ungherese) mentre quello scritto rivelasse una grande padronanza della lingua.

Cominciò con la poesia e la drammaturgia: "John et Joe" (1972); La chiave dell'ascensore (1977); Un rat qui passe (1984). E il teatro le restituì il favore dedicando ai suoi racconti diversi adattamenti scenici. Ma il successo arriva con la narrativa: dopo la «Trilogia della città di K», tradotta in 33 lingue, scrive, tra gli altri, «Ieri» (Einaudi 2002), da cui il regista Silvio Soldini trarrà il film «Brucio nel vento» (ma la scrittrice, tradita dall'adattamento cinematografico, criticò aspramente l'operazione), La vendetta (Einaudi 2005).

Per le sue opere l'autrice, che ha ceduto la gran parte dei suoi manoscritti all'Archivio Nazionale di Berna, è stata premiata in Francia con l' Adelf,in Italia con il premio Alberto Moravia nel 1988, e in Germania con i premi Gottried Keller e Schiller. L' ultimo riconoscimento quest'anno in Ungheria: il premio Kossuth che la scrittrice non ha potuto ritirare a causa delle gravi condizoni di salute

Pare che esistano duecento pagine di un romanzo inedito dedicato al padre. Ci sarebbe addirittura un titolo, strappato alla scrittrice ungherese nel 2004 dal quotidiano svizzero Les Tempes: «Aglaé dans les champs». Sarebbe una bella sorpresa. Mentre i suoi amati lettori aspettano impazienti il film del regista Janos Szasz ispirato alla «Trilogia». (S.Da)

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi