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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2011 alle ore 08:16.

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«Se qualcuno afferma che nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia permane la sostanza del pane e del vino insieme con il corpo e il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo e nega questa miracolosa e unica conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue che lascia sussistere le apparenze del pane e del vino – conversione che la Chiesa cattolica appropriatamente chiama transustanziazione – sia anatema». In questi termini, il Concilio di Trento aveva sancito, nel 1563, la impossibilità di ogni tentativo di conciliazione fra l'ortodossia e ogni forma di atomismo.
Galilei, ne Il Saggiatore, sostiene che calore, suono, odore, sapore sono nozioni che non accompagnano necessariamente il concetto di corpo, non sono realtà oggettive, sono soltanto nomi. Il calore «è un semplice vocabolo». Galilei non si limita a questo. Afferma la sua «inclinazione a credere» che ciò che in noi produce la sensazione di calore «siano una moltitudine di corpicelli minimi in tal e tal modo figurati, mossi con tanta e tanta velocità» e che il loro contatto con il nostro corpo, sentito da noi, sia ciò che chiamiamo calore. Oltre alla figura e alla moltitudine di quei corpicelli, al loro moto, alla penetrazione e al toccamento, non c'è nel fuoco altra qualità. Il mondo reale è contesto di dati quantitativi e misurabili, di spazio e di «corpicelli minimi» che si muovono nello spazio. Il sapere scientifico è in grado di distinguere ciò che nel mondo è obiettivo e reale e ciò che è invece soggettivo e relativo alla percezione dei sensi.
Durante tutta la discussione sulle qualità primarie e secondarie, Galilei evita di ricorrere al termine atomo. Parla di «corpicelli minimi», «minimi ignei», «minimi del fuoco», «minimi quanti». Si tratta in ogni caso delle parti più piccole di una sostanza determinata, non dei componenti ultimi della materia. Al termine de Il Saggiatore Galileo faceva riferimento ad «atomi realmente indivisibili». I passi nei quali Galilei fa riferimento alle posizioni atomistico-democritee sono singolarmente importanti. Nella prima giornata dei Discorsi Galilei tornerà sull'argomento a proposito del fenomeno della coesione. Simplicio (che rappresenta le filosofie tradizionali) accennerà con disprezzo a «quel certo filosofo antico» consigliando i suoi interlocutori di non toccare simili tasti. Nella sua replica a Il Saggiatore pubblicata nel 1626, il padre Orazio Grassi aveva messo in rilievo la vicinanza fra le tesi di Galileo e quelle di Epicuro, negatore di Dio e della Provvidenza. La riduzione delle qualità sensibili al piano della soggettività conduce a un aperto conflitto con il dogma dell'Eucarestia perché (ed è un'obiezione che anche Descartes dovrà fronteggiare) quando le sostanze del pane e del vino vengono transustanziate nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo sono in esse presenti anche le apparenze esterne: il colore, l'odore, il gusto. Per Galilei si tratta di «nomi» e, per i nomi, non occorre l'intervento miracoloso di Dio.
Con un'analisi ampia e sottile, capace di mostrare i dettagli e insieme attenta ai grandi problemi, il libro di Paolo Galluzzi analizza le fasi evolutive della concezione galileiana della materia. Nel 1609 il progetto galileiano aveva raggiunto livelli estremamente avanzati, al punto che nella terza giornata dei Discorsi, pubblicati cinque anni dopo la condanna, sono presenti i teoremi pubblicati nei primi decenni del Seicento. La materia, della quale parla Galileo, perennemente oscillante, per così dire, tra atomi e indivisibili, viene definita ambigua nel titolo stesso del libro. Galileo «fu anche costretto a occultare la programmatica connessione della concezione eliocentrica con le ricerche sul movimento e sulla struttura della materia». La condanna della concezione copernicana dette un colpo mortale al grande progetto galileiano di unificare fisica terrestre e fisica celeste. Galilei, scrive Galluzzi «fu costretto a occultare ogni riferimento alla connessione tra visione copernicana e concezione atomistica». Tra le molte, importanti e ravvicinate analisi contenute in questo libro vanno segnalate le pagine nelle quali si mostra come Galilei legittimasse il passaggio, senza soluzione di continuità, dalla tesi secondo la quale il ferro e la calamita «sono composti da un numero finito di particelle estese alla tesi secondo la quale possono essere risolti in infiniti punti non quanti», ovvero privi di estensione.
Ho dedicato un paio di anni allo studio degli Zenonisti (allora del tutto ignoti) i quali tentavano di elaborare una visione discontinuista della materia che fosse in grado di evitare le difficoltà dell'atomismo classico. Il continuo è per essi composto di indivisibili: in qualche caso finiti, in altri casi infiniti, ma quasi sempre privi di estensione. Entro questo tipo di problemi si svolse, alla metà del Settecento, l'attività del gesuita Giuseppe Boscovich, le cui posizioni raggiungono spesso quel particolare tipo di sottigliezza che si identifica con l'ambiguità. Tuttavia Michael Faraday, nel 1844, scriverà che gli atomi di Boscovich avevano un grande vantaggio sopra la nozione abituale di atomo; Clerk Maxwell (nel 1877) dirà che la cosa migliore da fare era sostituire al nucleo rigido dell'atomo un atomo di Boscovich; Lord Kelvin «ebbe Boscovich in mente, in un modo o nell'altro, per circa settant'anni» e si spingerà a dire (nel 1905) che le sue proprie assunzioni erano puro e semplice boscovicismo. Ambiguità e sterilità, come chiaramente ci mostra anche questo libro, non necessariamente e non sempre coincidono.

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