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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2011 alle ore 17:13.

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Fano jazz on the seaFano jazz on the sea

La diciannovesima edizione di Fano Jazz by the Sea si è imbattuta in serate a dir poco autunnali: minacce di temporali, piogge prolungate, umidità. Per buona sorte il festival può contare su tre sedi diverse, una delle quali è lo stupendo Teatro della Fortuna che ha ospitato i concerti del chitarrista inglese John McLaughlin & The Fourth Dimension, della Tribe del trombettista Enrico Rava con Gianluca Petrella e del Quartetto del percussionista indiano Trilok Gurtu. Nella sede storica della Corte Malatestiana, assai apprezzata da chi segua Fano Jazz dall'inizio o da molti anni, non ha avuto luogo invece alcun concerto. Peccato. È stato comunque un bel festival, compresi i concerti di mezzanotte nel jazz club fanese di Marina dei Cesari, dove ha particolarmente brillato il combo di Vito Di Modugno, organista di assoluto livello internazionale, i cui eccellenti collaboratori esigono tutti una citazione di merito: sono Fabio Morgera tromba, Michele Carrabba sax soprano e tenore, Pietro Condorelli chitarra, Massimo Manzi batteria.

Notevole è il merito di aver affidato l'inaugurazione del festival a John McLaughlin, assente dall'Italia da un anno. L'esperienza musicale del celebre virtuoso della chitarra, prossimo ormai ai settant'anni che non dimostra affatto, è molteplice anche come compositore ed esperto di pianoforte e tastiere. Basti ricordare, dopo il definitivo trasferimento dal nativo Yorkshire negli Stati Uniti, il suo sodalizio con Miles Davis (lo si ascolta in dischi quali In A Silent Way, Bitches Brew, Jack Johnson), l'interesse per le religioni e le musiche dell'India che lo portò a darsi il nome di Mahavishnu, passato pure alle sue orchestre, le collaborazioni con Carlos Santana, Paco De Lucia, Al Di Meola, Chick Corea, e infine i suoi complessi più recenti come questo – un po' jazz-rock e un po' world music, se proprio vogliamo dargli un'etichetta – dove si nota il tastierista inglese Gary Husband in grado di suonare la batteria in duo spettacolare con il batterista titolare Ranjit Barot (indiano) e c'è il bassista camerunense Etienne MBappé che lavorò con John Zawinul. Musica forte, trascinante, talvolta anche troppo, e McLaughlin è sempre lui.

Il concerto più affascinante l'ha dato il trombettista Tom Harrell in quintetto nella Marina dei Cesari. È risaputo che questo bell'uomo alto un metro e novanta, con il viso incorniciato da barba e capelli bianchissimi, soffre di schizofrenia fin dagli anni giovanili. Sul palcoscenico resta in piedi, immobile, in apparenza assente. Si scuote soltanto per le esposizioni tematiche e per gli assoli, ma il suono morbido e il fraseggio perfetto di quella tromba – mai una nota di troppo, mai un accenno di esibizione – sono indimenticabili, si comunicano ai quattro sodali prima che al pubblico, e le otto composizioni sono tutte di Harrell. Magnifico. E questo aggettivo si addice pari pari alla "Tribù" di Enrico Rava con lo straordinario trombonista Gianluca Petrella, oggi ammiratissimo anche negli Stati Uniti, il pianista Giovanni Guidi, prediletto specialmente da chi s'intenda di pianisti non soltanto di jazz, il contrabbassista Gabriele Evangelista (23 anni) e Fabrizio Sferra, batterista vario ed eccellente. L'elemento unificatore è ovviamente Rava con i suoi cinquant'anni e passa di jazz sotto il segno lontano ma operante di Miles Davis e di Chet Baker, i suoi amati strumentisti dal suono "scuro", e con il suo valore di compositore fertile e riconoscibile (Tears For Neda, Sand, Planet Earth).

Per chi scrive, Trilok Gurtu è il maggiore percussionista vivente: virtuoso assoluto e imprevedibile, ha saputo sintetizzare in modo impeccabile l'esperienza indiana con i lunghi anni vissuti nel jazz come batterista, conteso non a caso da maestri quali Don Cherry, Joe Zawinul, Jan Garbarek, Pat Metheny, Pharoah Sanders e lo stesso John McLaughlin. Ha con sé musicisti compositi che suonano perfino il violino e il flauto (c'è pure un italiano, Carlo Cantini) che potrebbero sembrare lontani dal mondo di Gurtu, ma invece si allineano alla perfezione. La musica è fitta di citazioni e di echi presi ovunque, sempre piacevole e "colta", sebbene tenda talora a coinvolgere un po' troppo il pubblico.
Restano da dedicare molte righe alla pianista giapponese Hiromi Uehara che si è presentata in trio, come di consueto con Anthony Jackson contrabbasso e Simon Phillips batteria. È una promessa fatta ai lettori che manterremo in un articolo tutto per lei.

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