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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2011 alle ore 08:15.

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di Carla Moreni
Il tango è un pensiero triste che si balla: la frase non è sua, l'ha detta tanti anni fa Enrique Santos Discepolo, uno dei più grandi tangueri argentini. È così chiara e vera che è diventata subito un simbolo, un'epigrafe per questa forma d'arte che è insieme musica, danza, poesia, canzone. Però quando è lei, Martha Argerich, a suonare il tango, quel motto non è più un'icona: diventa concreto, reale.
La pianista affonda le mani sulla tastiera, selvaggia e classica, e tra le note della sua infanzia a Buenos Aires, sorride. La musica diventa triste e comica insieme, come voleva Carlos Gardel, l'altro poeta del tango. Non sorride con il Concerto di Ravel, che interpreta senza rivali, né con i grandi classici, che fronteggia da quando, a 16 anni, nel 1957, vinse in doppietta il Concorso Busoni di Bolzano e quello di Ginevra. Si confermò, otto anni dopo, al vertice del Premio Chopin di Varsavia: era la numero 1, la regina, insuperata. Per tutto il mondo, da allora immediatamente sedotto ai suoi piedi, divenne semplicemente Martha.
«Il tango è Buenos Aires – racconta calibrando le parole, renitente a svelarsi, timbro scuro, un po' suo, un po' delle sigarette. – Ha dentro il violino russo, il belcanto italiano, il ritmo africano. Fa leva su tanti sentimenti, ma ne tiene uno in particolare continuamente sollecitato: la nostalgia. Il tango è la nostalgia, non solo della città, ma di un tempo interiore che non c'è più, quello che il ritmo di Buenos Aires conosce perfettamente. È musica tutta scritta, come quella classica. Violenta e morbida, conosce tutte le variazioni della vita, del rapporto uomo-donna. Chiede energia e sensualità».
Martha non ama le interviste. Non perché sia solitaria, anzi. Al Festival che le hanno intitolato, a Lugano, e di cui ha festeggiato quest'anno la decima edizione, la pianista si presenta ogni sera, per tre settimane, in mezzo a un caravanserraglio pittoresco di musicisti: vecchi amici, con cui ha suonato da sempre, e nuovi talenti, ragazzi di straordinaria bravura con cui non teme di confrontarsi. Con loro suona alla pari (cachet compreso), l'importante è che non la chiamino «maestra»: appena si pronuncia il titolo ride. Maestra? E butta i capelli all'indietro. Strizza gli occhi e fissa l'interlocutore con un lampo. «La musica è l'arte più democratica: azzera tutte le distanze, anche quelle anagrafiche»,afferma. Il dato tecnico, la stretta manualità, apparentemente non la preoccupa. Ha immagazzinato tanto lavoro al pianoforte, sin da bambina, che pare disporre di una riserva di talento inesauribile. Però poi tutte le notti le passa ancora studiando disperatamente: «non è disperazione ma gioia. Fare musica durante la notte - spiega - ha qualcosa di magico: il silenzio, l'assenza, il vuoto intorno, ci permettono di sentire meglio sia quello che facciamo, sia i segreti che Beethoven o Chopin hanno tracciato dietro le note. Certo, non sempre è possibile: se abiti in un condominio non puoi suonare di notte. Per questo appena mi si presenta l'occasione di una stanza isolata, per me è un dono».
Volano nel buio le note di Martha, anche in questo molto ragazza di Buenos Aires. Un filo comune la lega ai silenzi della poesia di Borges. Certi suoi scatti inquieti e sensualissimi hanno il passo identico al bandoneon di Astor Piazzolla, di Maria di Buenos Aires, di Libertango, che tra l'altro suona da incanto. Ma catturarla è un'impresa: il primo appuntamento per questa intervista è fissato per la mezzanotte. Appostati attendiamo invano: Cenerentola non arriva, la carrozza resta vuota. Dopo giri di telefonate con interlocutori misteriosi (Martha non ha telefono, vive a Bruxelles, in questi giorni è a Pietrasanta, prima di raggiungere Cortona), slittiamo all'indomani, tardo pomeriggio. Martha ha compiuto 70 anni lo scorso giugno, ma nulla è cambiato nel suo passo della ragazzaccia di sempre. «Sì, mi piace la musica delle periferie, quella cresciuta intorno al cuore della vecchia Europa: il jazz, il flamenco spagnolo, la musica tzigana di Ungheria e Romania. Il tango l'ho avvicinato tardi, forse perché prima ero totalmente focalizzata sul repertorio tradizionale: da Bach a Bartok, e in mezzo tutti i romantici, fino a Rachmaninov e ai francesi, Debussy, Ravel. Ora sono curiosa anche di altro, basta che sia buona musica», confessa.
La sua casa discografica, la Emi, ha appena pubblicato in 3 cd il cofanetto con le migliori serate del Festival Argerich di Lugano, edizione 2010: lì la chiave vincente è stata quella di accostare i grandi classici con brani anche rari, da camera e sinfonici. Maratone, dalla cui stacciatura restano parecchie pagine degne di repertorio. Per chi abbia invece nostalgia della primissima Martha, la riedizione del recital Chopin del 1965 rimane imperdibile. Le mani, il tocco, il suono Argerich divennero da lì un mito. Ma soprattutto di magnetica sorpresa risultò la sua miscela di rigore classico e passione, di velocità mostruosa che però cantava.
«Il programma che presentiamo a Cortona è una ricca maratona sul tango, da quello storico di José Luis Padula e di Angel Villoldo, dei primi del Novecento, fino alle ultime composizioni di Eduardo Hubert e di Luis Bacalov - racconta -. Andremo dai classici, come El dia que me quieras, di Gardel, che è del 1935, fino al Modatango di Nestor Marconi, al Libertango di Piazzolla, al Martulatango di Hubert. E naturalmente non mancherà la Suite con le musiche per il film Il postino, del '94, di Bacalov». Martha e i suoi tangueri – Michael Guttman, violino, Nestor Marconi, bandoneon, Luis Bacalov e Eduardo Hubert, pianoforte e a rotazione direttori d'orchestra della Camerata di Parigi – stanno lavorando sodo, per il concerto di stasera, in piazza, a Pietrasanta e domani a Cortona. Provano in continuazione. Perché anche quello è il segreto del tango: «sì, è un pensiero triste che si balla. Ma quando lo suoniamo è soprattutto musica che vorrebbe continuamente scappare. È difficile catturarla». Anche lui, Martha?