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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2011 alle ore 19:50.

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foto di Erika Venturellafoto di Erika Venturella

C'è l'eco d'arcani retaggi famigliari, di ancestrali litanie luttuose, di claustrali alleanze di sangue, di mortifere partiture fisiche, di adocchiamenti puntati su silenzi repressi, su voglie castigate, su spasmi rappresi della carne. C'è un microcosmo di soggetti vitali e dolorosi ritratti come figure esangui votate al seppellimento. E ci sono luci dai tagli caraveggeschi che feriscono l'oscurità, e posture rubate alla pittura di Goya.

Ci sono, soprattutto iconografie di barocca sicilianità, di religiose fattezze, di sacra e pagana rappresentazione. C'è un'antropologia della memoria che sta tutta nella coreografia degli occhi e della bocca che si fa canto, lamento, urlo rappreso, invettiva, pentimento. Senza redenzione. C'è un verismo di natura verghiana, una mappatura di matriarcato archetipo che odora di chiuso e di soffocamento.

E di rassegnazione, racchiusa nella frase epigrafe "Così è, così è stato, così sarà per tutta l'eternità". C'è, infine, un immobilismo asfissiante dell'anima che rattrappisce il cuore, e un attaccamento ai beni terreni che impedisce slanci di compassione. C'è tutto questo ne "Il Rosario" che la regia condivisa di Enrico Roccaforte e Clara Gebbia ha tratto dal testo di Federico De Roberto facendone un dramma musicale di vivificante modernità.

Tre sorelle, zitelle, chiuse in casa, votate alla madre-padrona alla quale ci si rivolge chiamandola "eccellenza". Siede su un trono, dorme, e si sveglia per la recita del rosario nell'ora del vespro, l'unico momento in cui, accompagnandola nella preghiera, le figlie possono convenire con lei. Scatta un tentativo di rivolta da parte delle due sorelle maggiori in difesa di una quarta, ripudiata perché ha disobbedito alle leggi della famiglia sposando un uomo di basso rango, la cui morte, annunciata dal rintocco di una campana, la lascia sola con tre bambini. A niente varrà la richiesta di perdono e il tentativo di liberarsi dalla soggezione materna. Niente scalfirà l'arcigna e impenetrabile madre la cui severità è resa da una magistrale prova d'attore di Filippo Luna calato nel ruolo della donna.

Tra rimpianti e rancori che esplodono dosano una gestualità quotidiana a composizioni scultoree sciolte nel canto di antiche melodie. La storia di quest'interno di famiglia luttuosa si chiude con una sorta di processione – dopo che tutto è rientrato nell'ordine – in cui la donna apre il suo manto nero che custodisce all'interno il rosso della passione costellato di immagini votive. È l'immagine di un'Addolorata da venerdi santo, statuaria, che estende le sue propaggini d'arpia nei tre lembi di stoffa tenute in avanti dalle figlie mentre intonano un canto.

"Il Rosario" di Federico De Roberto, regia di Enrico Roccaforte e Clara Gebbia, musiche originali di Antonella Talamonti, con Filippo Luna e Nenè Barini, Germana Mastropasqua, Alessandra Roca, costumi Grazia Materia, disegno luci Luigi Biondi, produzione Teatro Iaia. In tournèe nei siti archeologici della Sicilia: Parco Archeologico Kaukana, S.Croce Camerina (RG; Area Archeologica Monte Iato, S.Cipirello (PA); Area Archeologica Eraclea Minoa,Cattolica Eraclea (AG); Villa Pantelleria,Palermo;Necropoli di Realmese, Calascibetta (EN); Teatro Pietrarosa,Pollina (PA); Castello di Calatafimi, Calatafimi Segesta (TP).

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