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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2011 alle ore 16:15.

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Un insegnante si commuove facilmente di fronte ad Amleto, principe di Danimarca, giustificando senza difficoltà i suoi gesti tragici. Ma se quei gesti li compisse un ragazzino della periferia di Napoli? Saremmo pronti ad accettarli e comprenderli allo stesso modo?

Tutti i testi di Carla Melazzini, ideatrice e insegnante del Progetto Chance - una scuola per ragazzini provenienti da famiglie problematiche - si avvitano attorno a questa domanda. Raccontare adolescenti cresciuti a contatto con la criminalità, la violenza, il disamore e la morte è tanto difficile quanto gestirli: ma Melazzini ci riesce alla perfezione, con uno sguardo lucido e totalmente privo di retorica.

Il profondo realismo dei suoi scritti - che alternano resoconti di lezioni, critiche serrate al mondo scolastico "classico", riflessioni sull'insegnamento, storie di perdita e di redenzione - si risolve in una sorta di disincanto pieno di speranza e passione. La forma stessa del libro, pieno di domande scottanti, difficili, passionali, non conosce compiacimento, né quell'esotismo nostrano che porta a elevare certi quartieri napoletani a universale della perdizione. Al contrario. Fra bambini obesi costretti a ingrassare ancora di più per avere la pensione di invalidità, ragazzine madri in conflitto con la famiglia, o criminali vicini di casa, Melazzini conserva sempre una fiducia commovente nelle possibilità dell'insegnamento come scambio e dialogo - dove il maestro è spesso il primo a ricevere lezioni, per evitare di trattare l'adolescente come uno straniero o di "impadronirsi della sua vita".

Fra i tanti suggerimenti di pedagogia (tutto il libro è un piccolo capolavoro di anamnesi della pedagogia), colpisce in particolare l'insistenza con cui Melazzini propone di utilizzare la metafora. Per arrivare direttamente al cuore delle cose, e stabilire un ponte diretto con l'immaginazione dei ragazzi. È così che l'insegnante, un giorno, legge le prime della Metamorfosi di Kafka - invitando gli alunni a pensare a chi si sarebbe preso cura dello scarafaggio, di quell'essere rifiutato da tutti. "Il giorno dopo ero in biblioteca", scrive Melazzini, "si affaccia Gianni, il più piccolo e brutto della classe, chiedendo timidamente: Professorè, lo tenete qui il libro dello scarrafone?" Cosa non può fare la letteratura.

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