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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 08:14.

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«Ci sono eventi che ti portano a scrivere un libro che non avresti voluto scrivere. Sogni, specchi, possibilità. Gli scrittori vivono di ossessioni, questo è noto. E di fissazioni: vogliono trovare i brandelli, i frammenti, persino nei segni di un mobile, per quanto importante come un pianoforte a coda, un codice, un segnale, una possibilità che prima non c'era».
Che non sia un puro caso, dunque, se l'io-narrante del nuovo romanzo di Roberto Cotroneo, E nemmeno un rimpianto, trova, traslocando il suo Yamaha dalla casa romana di via Salaria dove è rimasto 15 anni, un foglio di musica, scritto chissà quando da lui stesso, con le note di My Funny Valentine?
Per ogni patito di jazz la canzone di Rodgers e Hart è un pezzo di culto legato soprattutto a due grandi. Non pensate a Sinatra: la sua Valentine scivola e passa via; qui si tratta invece delle migliori due trombe della storia del jazz, Chet Baker e Miles Davis. E appunto alla figura di Chet, tormentato, schiavo della droga, ma, in musica, sublime poeta «del dolore che chiede protezione al mondo» (Miles è l'opposto, «volta le spalle al mondo»), è dedicata la storia impossibile raccontata dall'autore.
Perché Chet, volato giù da una finestra (suicida? forse) del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam il 13 maggio 1988, a 59 anni, in realtà non è morto. Così spiega, poco meno di vent'anni dopo, al protagonista e io-narrante del libro, la sua amica Costanza, una prof pugliese. E gli dà anche l'indirizzo dove il vecchio trombettista vive, Giurdignano, nel Salento, un paese dove aveva suonato più volte. Ritornandovi definitivamente dopo la messinscena del suicidio (e chissà di chi era quel cadavere?), attuata lucidamente per allontanarsi dal mondo, dalla droga, forse anche dalla stessa musica.
E, in una piccola casa di legno stile Midwest fuori del paese, all'interno molto curata – un ordine anche interiore che nella vita Chet sembrò non aver mai, tranne che nella sua musica – ecco avvenire l'incontro.
Lui è diverso, sereno, lontano. Pare che non suoni più (non si vedono trombe in giro), ma ha registrato molti nastri. Più avanti il protagonista li sentirà: pezzi bellissimi e incompiuti, brandelli di musica alternata a lunghi silenzi.
Ma non è forse anche Valentine, un brano che Chet incise infinite volte, fatto di «alterazioni armoniche», di «asimmetrie della vita» e specialmente di silenzi? Dove si nasconde il respiro della vera poesia. Cotroneo mescola con passione frammenti della vita passata del Chet che conosciamo, dagli esordi nei primi anni Cinquanta con il quartetto di Gerry Mulligan – e fu il successo –, e dai primi concerti in Europa, alla storia di quest'uomo perso e poi rinnovato, trasformato dalla lettura dei testi del filosofo armeno Gurdjieff (è la parte che narrativamente meno ci persuade).
Ma il segreto del suo invogliante romanzo sta nella confusione tra realtà e sogno narrata con toni minori; e nel lato parallelo e oscuro che si intuisce.
Perché è, E nemmeno un rimpianto, un libro sul potere e sul senso della musica; ma a noi pare anche un libro autobiografico sul groviglio dell'invecchiare, e sulla tenacia delle emozioni che ci legano alle grandi esperienze dell'arte: fra le poche cose che ci mantengono vivi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Roberto Cotroneo, E nemmeno
un rimpianto. Il segreto
di Chet Baker, Mondadori, Milano,
pagg. 170, € 18,00

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