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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 08:15.

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I manuali di storia delle istituzioni e delle idee politiche insegnano che la lunga marcia verso quello che sarà alla fine lo «Stato di diritto», cominciò in Occidente quando si riuscì a fondare la nozione di responsabilità individuale. Questa mutazione avvenne in Grecia, nella prima metà del primo millennio avanti Cristo ed è legata alle altre che segnarono il passaggio dal diritto orale (consuetudinario) alla norma scritta, e dall'ordinamento gentilizio-pastorale a quello urbano-castale. Rappresenta dunque un momento cruciale nella evoluzione delle istituzioni europee.
A consolidare questa nozione fondamentale contribuì, in misura decisiva, la "rivoluzione" cristiana. Il Cristianesimo, infatti, non solo approfondì l'idea di «individuo», trasformandola in quella più complessa di «persona», ma rafforzò la regola della responsabilità del singolo verso l'ordinamento giuridico, facendo del dovere di rispondere, in coscienza, dei propri atti davanti a Dio, la base dei rapporti fra credente e sfera trascendente. Alla responsabilità giùridica aggiunse cioè il concetto di responsabilità etico-religiosa.
La costruzione dell'immenso edificio dottrinario e istituzionale medioevale e moderno («diritto naturale» e «diritto positivo») che costituisce la sostanza della civiltà occidentale, non sarebbe stata possibile senza questa concezione della responsabilità della persona umana, regolata dal «diritto divino» (verità "rivelata"), e quindi dalla fede in un tribunale trascendente, superiore a tutti quelli terreni, e al quale nessuno può sfuggire.
Ai nostri giorni, la nozione di responsabilità individuale sembra venga rimessa in discussione, perché le si oppongono due ordini di ostacoli, paradossalmente equivalenti a quelli che ritardarono la sua affermazione all'inizio della civiltà.
La prima negazione della responsabilità individuale deriva dall'abitudine a concepire l'uomo come strettamente condizionato dal tessuto sociale in cui è nato e continua a vivere. In forza di tale veduta, gli atti e i comportamenti di un individuo non dovrebbero essere sostanzialmente imputati alla libera determinazione di questi, ma sarebbero la necessaria conseguenza sia delle esperienze che egli è stato costretto a subire, sia delle influenze che su di lui esercita la società in cui vive. È evidente, in ordine alle conclusioni pratiche, il parallelismo fra questo modo di risolvere la responsabilità dell'individuo in quella della "società", e la responsabilità "collettiva" degli ordinamenti primitivi.
La seconda negazione della responsabilità individuale, ai giorni nostri, è il frutto delle accresciute cognizioni nel campo della psico-fisiologia. Si muove dalla constatazione che nulla accade nell'esistenza individuale senza una o più "cause", e si perviene a una concezione puramente "deterministica" del comportamento umano. "A posteriori", infatti, ogni nostro comportamento può essere spiegato (e poi giustificato) come la necessaria conseguenza di eventi e di sviluppi psico-fisici che stanno a monte della nostra auto-coscienza. Anche qui è evidente che questo modo di pensare perviene alle medesime conclusioni cui giungevano gli antichi, quando consideravano l'uomo interamente in balìa delle forze soprannaturali: «non si muove foglia che Dio non voglia». Entrambe le negazioni "moderne" del principio di responsabilità trascurano un aspetto essenziale del problema che pretendono di risolvere (o di cancellare): il principio di responsabilità è una convenzione, funzionale all'instaurazione di ogni relazione interindividuale, perché esso soltanto rende possibile prevedere (predeterminare) il comportamento, sia degli "altri", che proprio.
La "presunzione di responsabilità" è la «Grundnorm» che sta addirittura a monte della "regola delle regole": pacta sunt servanda. Se non si "presume" la responsabilità, infatti, ogni norma perde il suo destinatario. Esiste una "prova", che testimonia il radicarsi naturale del principio di responsabilità al fondo di ogni convivenza umana: è la reazione istintiva con la quale l'opinione pubblica, dinnanzi a una violazione efferata del diritto (per esempio una strage) cerca a ogni costo il "responsabile"; e, se non lo trova subito è spinta quasi a inventarselo. Il «capro espiatorio» rappresenta la manifestazione estrema, insieme, della inesorabilità e della "convenzionalità" del principio di responsabilità.
Tuttavia non basta riconoscere genericamente il principio di responsabilità individuale; è necessario aggiungere che, per svolgere il suo ruolo, esso ha bisogno di essere accettato integralmente. Ciò vuol dire che – stabilite alcune regole di comportamento (doveri e diritti) e i conseguenti rapporti di responsabilità – questi ultimi devono dar luogo, sempre, alle conseguenze previste.
(Estratto dal saggio Considerazioni sulla «responsabilità», Synesis, marzo 1985)
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