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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 08:16.

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La galleria «me Collectors Room» della fondazione Olbricht gode di un'ottima reputazione per il suo impegno nel settore dell'educazione artistica e museale dei bambini. Ma in questo caso il programma collaterale riservato ai piccoli non può dirsi particolarmente esteso. La ragione è evidente: tema dell'esposizione ora in corso è infatti il cannibalismo, e le oltre cento opere d'arte proposte – che spaziano dal Rinascimento ai giorni nostri – contengono immagini piuttosto esplicite e violente.
Per la verità quello dell'antropofagia è argomento ricorrente in molte fiabe per bambini e veniva utilizzato per alimentare timori nei confronti di popoli indigeni o più semplicemente per educarli all'ubbidienza facendo leva sulla paura. Oggi, nel cosiddetto mondo evoluto, i cannibali sono forse scomparsi dai libri per l'infanzia, ma l'antropofagia è più che mai attuale, risuonando non solo sulle pagine di cronaca nera o nei film dell'orrore, ma anche in fenomeni come quello della clonazione e manipolazione genetica, del traffico illegale di organi umani, nella chirurgia estetica o nel dramma dell'anoressia, che potrebbe essere definito anche come una forma di auto-cannibalismo.
Presente in quasi tutte le culture, religioni ed epoche, dall'antichità fino al cristianesimo, dal Rinascimento fino alle società laiche occidentali dei giorni nostri, il tema continua a rappresentare un grande tabù avvolto com'è da un'aura a volte mistica e sacrale, altre più erotica e sovversiva, ma quasi sempre inquietante.
L'esposizione, curata da Jeanette Zwingenberger e organizzata dalla fondazione Olbricht di Berlino insieme alla Maison Rouge di Parigi, rinuncia al puro sensazionalismo o al facile scandalo, ma affronta invece il tema in modo molto delicato e quasi scientifico, anche se esposte sono solo opere d'arte, fotografie, sculture, dipinti e video.
Nella sua Maschera del diavolo, Giovanni Battista Podestà (1895-1976) ha ritratto il diavolo nell'atto di divorare i peccatori per castigo infernale. La stessa liturgia cristiana con il sacramento della comunione con l'ostia simbolo del corpo e il vino simbolo del sangue, non è in fondo un'espressione per eccellenza di un cannibalismo sacrale e religioso, come suggerisce Michel Journiac nel suo video Messa per un corpo nel 1969? Per illustrare gli orrori compiuti dalle truppe napoleoniche in Spagna, Francisco de Goya nel 1810 ha utilizzato a sua volta la metafora del cannibalismo nell'acquaforte intitolata Los desastros de la guera.
A queste e altre opere "classiche" nella mostra vengono affiancati lavori di artisti contemporanei, come le fotografie molto poetiche e sensuali di Cindy Sherman e Bettina Rheims sul seno materno e l'allattamento come espressione di un precoce ma ancora innocuo rapporto carnale tra madre e figli o di un «cannibalismo positivo» come lo ha descritto Sigmund Freud. L'artista giapponese Aida Makoto tematizza invece la problematica molto attuale della manipolazione genetica. Nei suoi disegni della serie Mimi-chan, una bambola clonata modello Barbie serve da ingrediente per la preparazione di improbabili pietanze Sushi.
Non aveva dunque ragione il filosofo e antropologo Claude Lévi-Strauss nell'affermare in un'intervista rilasciata nel 1993 al quotidiano «la Repubblica» che in fondo «noi tutti siamo cannibali»? La mostra berlinese, intitolata appunto «Tutti cannibali?», non fa passare a ogni modo l'appetito, almeno non in senso strettamente metaforico. Ma è uno stimolo ad approfondire un tema che, non solo nell'arte figurativa, ma anche nel cinema, nel teatro o nel mondo scientifico, continua a sprigionare un misterioso, quanto crudele fascino, e che proprio per questo è oggetto di innumerevoli mistificazioni.
L'antropofagia è un peccato per eccellenza ma al tempo stesso è stata spesso raffigurata come punizione divina. Può essere vista come un rito tribale ma è stata anche strumentalizzata per affermare la superiorità morale delle società occidentali su quelle dei Paesi colonizzati dalle potenze europee. Il cannibalismo può essere visto anche come una forma estrema e totalizzante di controllo e di assimilazione, di conquista carnale del prossimo, di potere e di sottomissione. Alla fine del percorso espositivo il mistero del cannibalismo resta intatto e le tante rappresentazioni non fanno altro che confermare il disorientamento nei confronti di un fenomeno che noi tutti in fondo preferiamo rimuovere e seppellire nel nostro inconscio. Alla galleria «me Collectors Room» resta il merito di aver confermato ancora una volta la sua posizione di rilievo nel panorama espositivo di una Berlino dominata sempre di più dall'iniziativa e da spazi gestiti da privati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alles Kannibalen?, Berlino, me Collectors Room, fino al 21 agosto. www.me-berlin.com

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