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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 08:16.

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«Di fatto possiamo prevedere le eclissi solari con un elevato grado di precisione e con largo anticipo. Perché non dovremmo essere in grado di prevedere le rivoluzioni?». Questa la domanda che Karl Popper si pone in un saggio del 1948, intitolato Previsione e profezia nelle scienze sociali e successivamente incluso nel volume Congetture e confutazioni (1963). La risposta del filosofo austriaco, notoriamente nemico giurato di qualsiasi concezione in odore di storicismo, è netta e senza ambiguità: «Le profezie delle eclissi, e quelle basate sulla regolarità delle stagioni ... sono possibili solo perché il sistema solare è un sistema stazionario che si ripete; ed è tale in quanto si trova isolato dall'influenza di altri sistemi meccanici da immense regioni di spazio vuoto». Diversamente stanno le cose, sembra chiaro, per quanto riguarda la storia e le scienze sociali: che si tratti di rivoluzioni, di altri macro-eventi politici o economici, oppure dei banali accadimenti che scandiscono la nostra vita di ogni giorno – la decisione di passare le vacanze a Parigi, l'espressione di una preferenza politica, l'acquisto di un detersivo al supermercato –, si ha a che fare con fenomeni non ciclicamente regolari, non stazionari, non isolati, per i quali Popper esclude ogni possibilità di fare previsioni.
Trascorsi sessant'anni, il quadro teorico sul quale si basano le argomentazioni di Popper è radicalmente mutato. Da una parte, la teoria dei sistemi dinamici non lineari – fondata da Henri Poincaré alla fine dell'Ottocento – ha mostrato che la presunta prevedibilità assoluta della meccanica classica è, salvo poche insignificanti eccezioni, soltanto un'illusione. I movimenti dei pianeti possono apparire regolari quando rapportati al breve lasso di tempo della storia umana, ma in realtà sono intrinsecamente caotici (seppure deterministici), dunque impredicibili: è del tutto incerto se tra 100 milioni di anni la Terra sarà ancora in orbita attorno al Sole oppure no, si possono solo azzardare scommesse. Dall'altra, gli sviluppi della teoria delle probabilità – in particolare, la cosiddetta analisi stocastica –, unitamente alle simulazioni numeriche rese possibili da computer sempre più potenti, consentono oggi di fare "previsioni" su fenomeni che appartengono a campi di indagine diversissimi, quali la fisica, la biologia, la meteorologia, l'economia, la finanza, la logistica, l'ingegneria. In tutti questi contesti, però, il termine "previsione" va inteso in un senso completamente differente da quello di Popper. Non si predice il futuro sulla base di un qualche sistema di leggi che permetta di stabilire una catena di nessi causa-effetto (leggi che, eventualmente, potranno essere falsificate, ma che per il momento si accettano come valide); piuttosto, si forniscono stime e approssimazioni che dipendono da modelli matematici parziali e non normativi, da insiemi di dati necessariamente incompleti, da ipotesi statistiche.
Soltanto tenendo presenti queste premesse – mi pare – è possibile affrontare la lettura dell'ultimo libro di Albert-László Barabási, intitolato Lampi. La trama nascosta che guida la nostra vita e pubblicato da Einaudi, senza sobbalzare sulla sedia fin dalle prime pagine. Il fisico di origine rumena, attualmente direttore del Center for network science presso la Northwestern University, procede infatti all'esposizione delle proprie ricerche e delle proprie idee partendo da una domanda iniziale a dir poco temeraria, seppure posta in forma cautamente scaramantica: «Che il cielo non voglia, ma potremmo spingerci tanto in là da prevedere il comportamento umano?». Ebbene, la "prevedibilità" che qui è in questione non consegue (fortunatamente) dalla validità di rigide leggi deterministiche ma dall'esistenza – tutta da dimostrare – di una qualche «struttura probabilistica» in grado di «svelare le nostre azioni future». Non c'è bisogno di dire che l'interrogativo, pur così smussato, rimane ugualmente inquietante.
Sebbene la metà esatta dei capitoli del libro sia dedicata alla narrazione di vicende storiche – quelle della rivolta popolare guidata da György Dósza Székely nella Transilvania di inizio '500 –, la maggior parte degli esempi analizzati da Barabási, con dovizia di aneddoti e digressioni, ha a che fare con azioni quotidiane tipiche del nostro mondo contemporaneo: gli spostamenti a corto o a lungo raggio degli essere umani, i movimenti delle banconote (dove sarà tra un mese il biglietto da 5 euro che ho ora nel portafoglio?), le modalità di navigazione sul web, i flussi di email o di chiamate telefoniche che facciamo partire dai nostri computer o dai nostri cellulari. In tutti questi casi, secondo l'autore, si evidenzierebbe sempre lo stesso schema a "lampi" o a "raffiche" (bursts in inglese) – lunghi periodi di quiescenza seguiti da brevi periodi di attività intensa –, schema caratteristicamente associato a una distribuzione statistica descritta da una legge di potenza. «Quando scomponiamo la nostra vita in numeri, formule e algoritmi – conclude Barabási – siamo molto più simili gli uni agli altri di quanto possiamo essere disposti ad ammettere», perché «l'attività di tutti ha un andamento a lampi e allo stesso tempo molto regolare». Insomma, saremmo «tutti apparentemente casuali e tuttavia profondamente prevedibili».
Nonostante i distinguo epistemologici con cui abbiamo voluto premunirci contro il rischio di facili fraintendimenti, la «dinamica umana» (sic!) di Barabási appare alquanto deludente per quanto riguarda la sua capacità di generare "previsioni" e, al contempo, solleva non poche perplessità di ordine etico. Queste perplessità derivano dal fatto che, per arrivare ai loro risultati, i ricercatori pescano a piene mani nei database in cui sono conservate le tracce digitali delle nostre azioni quotidiane (le email conservate dai provider, i dati registrati dalle aziende telefoniche, le informazioni personali disseminate nell'oceano del web eccetera). Le ricerche in questa direzione, è inevitabile, tenderanno a invadere sempre di più la privacy di tutti, già messa seriamente a repentaglio. D'altra parte – e qui sta la delusione –, malgrado il massiccio impiego di risorse (e di finanziamenti), i risultati raggiunti sembrano piuttosto modesti: che le mie email, nell'arco della giornata, siano raggruppate in pochi periodi di attività pare non meno ovvio del fatto che le mie ore di sonno siano per lo più concentrate durante la notte, e non si vede come da ciò si possa inferire che sono «un robot sognante... guidato da un pilota automatico». In ogni caso, nessuno, nemmeno il baldanzoso Barabási, è ancora in grado, per fortuna, di prevedere le rivoluzioni.

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